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Borsieri, I gradi della letteratura

Pietro BORSIERI (1788-1852)
dalle Avventure letterarie di un giorno, capitolo IX (1816)

 

Chi giudica la letteratura un vano suono di parole se devia dal suo scopo d’illuminare il vero e giovare per la via del diletto alla coltura della moltitudine, quegli sappia che ora invece è quasi sempre rivolta a tutt’altro fine, col servire a vista di lucro, o di privato ossequio, o d’inimicizia, o al vitupero indegnissimo di celebri scrittori stranieri ed italiani. E tutti coloro finalmente, che riguardano le dispute de’ letterati come un risibile sfogo della loro vanità, sappiano ch’io penso della stessa guisa; ma che questo scritto è disteso colla mira più utile e più universale di denotare almeno in parte gli abusi che si vanno inavvertitamente insinuando nelle lettere italiane.

Così adoperando, io so d’essermi avventurato ad un mare sparso di scogli e fremente di tempeste. Ma se coloro che prenderanno a biasimarmi, volessero oppormi ch’io non istimo abbastanza le ricchezze letterarie dei nostri giorni, e non esalto, come fanno essi all’opportunità, i nomi di Lagrange, Visconti, Volta, Canova, ecc., ecco la mia risposta.

Credo che nel presente periodo l’Italia non possegga quelle ch’essi chiamano letterarie ricchezze.

Non si può chiamar fiorente la coltura di una nazione quando ella vanta soltanto qualche grande scrittore; ma bensì quando, oltre i rari ottimi, ella ne possiede molti buoni, mediocri moltissimi, cattivi pochi; e v’aggiunge infiniti lettori giudiziosi. Allora si forma, dirò così, un’invisibile catena d’intelligenza e di idee tra il genio che crea e la moltitudine che impara; si sente e s’indaga il bello con più profondità; i falsi giudizi sono più facilmente combattuti; ai veri grand’uomini è concessa la gloria e agli ingegni minori la fama.

 

 

Il dialogo che funge da prefazione all’opera contiene già alcune indicazioni sulla struttura e sulla funzione del libretto: Borsieri non solo riferisce alcuni consigli a vari scrittori, ma riporta anche certi incontri letterari avvenuti nello stesso giorno, da cui il titolo Avventure letterarie di un giorno. In questo modo − sottolinea l’autore − i più pignoli e sofistici potranno tacciarlo di ambiguità del titolo stesso, e sarà divertente, come afferma in tono ironico, ma anche con un po’ di rammarico, vederli battersi la fronte, sospirare e gemere, affermare pieni d’ira al punto da scoppiare che la lingua non è più lingua, che la grammatica è zero, che l’Italia s’innabissa e la buona letteratura va in perdizione.

Ebbene, secondo Borsieri la ricchezza letteraria è già da tempo scomparsa, non certo per colpa sua, bensì proprio a causa di scrittori che si perdono in commenti grammaticali superflui, che si soffermano lungamente su questioni d’erudizione di poco conto. Letterati di tal genere non procedono oltre l’apparenza della cultura, in quanto disperdono tutte le loro energie nell’affannoso inseguimento dell’immagine perfetta, e non hanno più la forza di carpirne la sostanza.

La superficialità anestetizza gli uomini e li rende insensibili al progresso del sapere: afferma infatti Borsieri che gli italiani del suo tempo che si dichiarano eruditi si sforzano d’impedire che il sapere retroceda, e infatti nessun’altra nazione può vantare un numero così cospicuo di accademie scientifiche e letterarie, ma non lo soccorrono a progredire, e questo perché vi è solo qualche grande scrittore. Per Borsieri invece, affinché una cultura sia degna di essere chiamata fiorente, fra i rari ottimi e i cattivi pochi devono esserci molti buoni, mediocri moltissimi. Interessante è il rapporto chiastico che lega i pronomi indefiniti, già insistiti, e ulteriormente evidenziati da tale figura retorica: rari ottimi [molti buoni mediocri moltissimi] cattivi pochi. Tuttavia, mentre in tale contesto i molti sono associati all’immagine positiva di uomini di buone/medie capacità (molti buoni, moltissimi mediocri), due righe dopo la moltitudine assume una connotazione negativa, dal momento che si contrappone alla figura del genio, in confronto a cui la massa indistinta di persone, che non meritano di essere individuate (ossia prese in considerazione singolarmente), appare una nullità.

Leggendo le Avventure occorre pertanto risalire e tenere sempre ben presente il saldo impianto ideale, che tanta evidenza ha proprio nell’Introduzione, per rendersi conto di come l’adozione di uno stile allusivo e ironico, le concessioni alla mondanità della polemica e delle chiacchiere giornaliere, il tono e il genere romanzesco non debbano farci dimenticare i problemi che travagliavano la mente e il cuore di Borsieri (cfr. Muscetta, 1967, p. X): esortare caldamente gl’ingegni a rivolgere gli studi ad oggetti più utili. Anche se, come trapela dalle parole dell’autore, gl’ingegni che studiano, la moltitudine che impara, per quanto possano impegnarsi, non si eleveranno mai al livello del genio che crea;al contrario, la loro attività stazionerà sempre almeno un gradino più in basso.

Borsieri auspica la formazione di un’invisibile catena d’intelligenza e di idee tra il genio che crea e la moltitudine che impara. Nulla di più fantasioso ed elevato: il trasferimento mentale di informazioni (idee), nonché dello strumento atto ad incanalare nella corretta direzione i concetti acquisiti (intelligenza) da un uomo all’altro. O per meglio dire dall’alto al basso. A ben guardare, infatti, la prospettiva di Borsieri non si discosta troppo da quella di un grande capo che compie il lavaggio del cervello a coloro che da quel momento diverranno i suoi docili sudditi: il genio e la moltitudine,la mente suprema e le nullità, che non meritano di essere nominate, al contrario costituiscono semplicemente una massa indefinita. L’autore delle Avventure aveva poco prima sostenuto: “Non si può chiamar fiorente la coltura di una nazione quando ella vanta soltanto qualche grande scrittore; ma bensì quando, oltre i rari ottimi, ella ne possiede molti buoni, mediocri moltissimi, cattivi pochi; e v’aggiunge infiniti lettori giudiziosi”.

Vi è dunque una palese contraddizione fra le due affermazioni di Borsieri che si susseguono nello spazio di poche righe. Accanto ai pochi ingegni eccellenti, ve ne sono molti buoni e moltissimi discreti, ma soprattutto vi sono infiniti lettori giudiziosi. Subito dopo tutte queste medie intelligenze scompaiono, soppresse dal genio che detta legge, e gli innumerevoli lettori assennati cedono il posto ad una massa di ottuse spugne che assorbono il comando della mente superiore senza fiatare. Il flusso della conoscenza non ammette inversione di senso: il genio è stato prescelto per creare, la moltitudine è destinata a imparare. Ma allora, a questo punto, più che di catena di idee, sarebbe più corretto parlare di vincolo ideologico, che differisce dalla costrizione materiale dello schiavo solo per il fatto di appartenere al piano dell’astratto, anziché alla dimensione concreta. Non si può dire poi che la catena ideale sia meno resistente e duratura del vincolo concreto dello schiavo: infatti, se per questo esiste una possibilità di rompere il legame che lo tiene avvinto alla prigione, l’uomo la cui mente è stata plagiata e abituata a formulare pensieri malsani potrà pure allontanarsi dal luogo in cui è avvenuta la manipolazione, ma non riuscirà a scacciarne gli effetti.

(a cura di Alice Cremonesi, 2013)

 


Per approfondire

Pietro Borsieri = Wikipedia
Pietro Borsieri = Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, vol. 13, 1971