Top menu

2011_paes-invernale-2_w.jpg2009_tramonto2_w.jpg2009_stagno_w.jpg2012_nebbia-su-mantova_w.jpg2012_squarcio-di-luce_w.jpg2009_sottobosco_w.jpg2009_incendio_w.jpg2011_paes-invernale-1_w.jpg2009_toscanasera_w.jpg2011_marina_w.jpg2008_oltreorizzonte_w.jpg2012_tre-alberi_w.jpg2011_cespuglio_w.jpg2008_controlucemn_w.jpg2012_campo-papaveri_w.jpg2010_steppa_w.jpg2011_schiumadonda_w.jpg2007_grandepino_w.jpg2011_settembre_w.jpg2010_temporale_w.jpg2011_forza-del-vento_w.jpg2009_tramonto_w.jpg2008_acquitrino_w.jpg2009_mantovainrosso_w.jpg2009_sorgere_w.jpg

Abbot, Visione della Linelandia

Abbot: il vero spazio e l’autentica realtà

Come un quadrato vede una linea

 

Edwin A. Abbot (1838-1926)
da Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni
(1884)

 

13. Com’ebbi una Visione della Linelandia

Era il penultimo giorno dell’anno millenovecentonovantanovesimo della nostra èra, e il primo giorno della Lunga Vacanza. Essendomi ricreato fino a tarda ora con la Geometria, mio passatempo favorito, mi ero ritirato a riposare con in mente un problema non risolto. Nella notte feci un sogno.

Mi vidi davanti una vasta moltitudine di piccole Linee Rette (che, com’era naturale, presi per Donne), mescolate ad altri Esseri ancora più piccoli e della natura di punti luminosi, che si muovevano tutti avanti e indietro lungo un’unica Linea Retta, e, per quanto potei giudicare, con la stessa velocità.

A intervalli, mentre si muovevano, emettevano un suono confuso simile a un cinguettio o a un frinire molteplice, poi interrompevano ogni moto, e allora tutto era silenzio.

Avvicinandomi a una delle più grandi di quelle che credevo essere Donne, l’apostrofai, ma non ricevetti risposta. Un secondo e un terzo appello rimasero parimenti vani. Perdendo la pazienza davanti a quella che mi pareva villania intollerabile, mi misi con la bocca proprio davanti alla bocca di lei, in modo da impedirle di muoversi, e ripetei la mia domanda ad alta voce: «Donna, che significa questa folla, e questo cinguettio strano e confuso, e questo monotono movimento avanti e indietro, sempre lungo la stessa Linea Retta?».

«Non sono una Donna» rispose la piccola Linea. «Io sono il Re del Mondo. Tu piuttosto, intruso, come hai fatto a penetrare in Linelandia, mio Regno?» A questa secca risposta, replicai chiedendo scusa se avevo allarmato o molestato in alcun modo Sua Maestà; e dichiarandomi straniero supplicai il Re di darmi qualche informazione sui suoi domini. Ma per ottenere delle spiegazioni sui punti che più m’interessavano incontrai la massima difficoltà; perché il Monarca non riusciva a non dare sempre per scontato che qualunque cosa fosse familiare a lui lo dovesse essere anche a me, e che io simulassi l’ignoranza per prendermi gioco di lui. Tuttavia, a forza di insistere nelle domande, ne estrassi i fatti seguenti.

Pareva che questo povero, ignorante Monarca – come chiamava se stesso – fosse convinto che la Linea Retta, che chiamava il suo Regno, e nella quale passava la sua esistenza, costituisse il mondo intiero, anzi tutto lo Spazio. Non potendo muoversi né vedere se non lungo la sua Linea Retta, non concepiva nient’altro all’infuori di essa. Benché avesse udito la mia voce quando lo avevo apostrofato la prima volta, i suoni lo avevano raggiunto in modo così contrario alla sua esperienza che non aveva risposto, «non vedendo nessuno», come si espresse, «e sentendo una voce proveniente, per così dire, dalle mie viscere». Fino al momento in cui avevo messo la bocca nel suo Mondo, non mi aveva visto, né aveva sentito altro che dei suoni confusi che battevano contro quello che io chiamavo il suo lato, ma che egli chiamava il suo interno o stomaco; né aveva, neanche adesso, la minima idea della regione donde provenivo. Fuori del suo Mondo, o Linea, per lui c’era il vuoto; anzi, neanche il vuoto, perché questo implica lo Spazio; diciamo piuttosto che niente esisteva.

I sudditi, dei quali le piccole Linee erano gli Uomini e i Punti le Donne, erano tutti ugualmente confinati, nel moto e nella vista, in quell’unica Linea Retta, che era tutto il loro Mondo. Non c’è bisogno di aggiungere che tutto il loro orizzonte si limitava a un Punto; né alcuno poteva mai vedere altro che un Punto. Uomo, donna, bambino, oggetto – ogni cosa era un punto all’occhio dell’abitante della Linelandia. Solo al suono della voce si poteva distinguere il sesso o letà. Inoltre, dal momento che ogni individuo occupava per intiero il sentiero stretto, per chiamarlo così, che costituiva il suo Universo, e nessuno poteva spostarsi a sinistra o a destra per far strada ai passanti, ne seguiva che nessun abitante della Linelandia poteva sorpassarne un altro. Una volta vicini, vicini per sempre. Da loro il vicinato era quel che da noi è il matrimonio. I vicini rimanevano vicini finché la morte non li avesse separati.

Una vita simile, in cui ogni vista si limitava a un Punto, e ogni moto a una Linea Retta, mi sembrava di uno squallore inesprimibile; e fui sorpreso notando la vivacità e l’allegria del Re. Chiedendomi se fosse possibile, in mezzo a circostanze tanto sfavorevoli alle relazioni domestiche, godere dei piaceri dell’unione coniugale, per qualche momento esitai a interrogare Sua Maestà su un argomento tanto delicato; ma alla fine decisi di buttarmi, e gli domandai di punto in bianco della salute della sua famiglia. «Le mie mogli e i miei figli» rispose «stanno bene e sono felici».

Esterrefatto da questa risposta, poiché nelle immediate adiacenze del Monarca (come avevo notato nel mio sogno prima di entrare in Linelandia) non c’erano che uomini, mi azzardai a replicare. «Perdonatemi, ma non riesco a immaginare come faccia la Maestà Vostra a vedere o ad avvicinare le loro Altezze Reali, dal momento che c’è almeno una mezza dozzina di individui che si frappongono sul cammino, e oltre i quali non si può né vedere né passare. È possibile che in Linelandia non ci sia bisogno della contiguità persposarsi o per generare figli?»

«Come si fa a chiedere una cosa così assurda?» replicò il Monarca. «Se davvero fosse come dite voi, l’Universo resterebbe presto spopolato. No, no; l’unione non ha bisogno della vicinanza; e la nascita dei figli è cosa troppo importante per dipendere da un caso come la contiguità. Questo non potete ignorarlo. Però, dal momento che vi compiacete di fingervi ignorante, vi istruirò come se foste l’ultimo bambino della Linelandia. Sappiate dunque che i matrimoni si consumano mediante la facoltà di emettere suoni, e mediante il senso dell’udito.

«Sapete, naturalmente, che ogni Uomo ha due bocche o voci – così come ha due occhi – una di basso a unestremità e una di tenore all’altra. Non dovrei rilevarlo, ma non mi è riuscito di distinguere la vostra voce di tenore durante la nostra conversazione». Risposi che io avevo una sola voce, e che non mi ero reso conto che Sua Maestà ne avesse due. «Questo conferma la mia impressione» disse il Re «che voi non siate un Uomo, ma una mostruosità femminile con una voce di basso e un orecchio totalmente ineducato. Ma andiamo avanti.

«Dato che la Natura stessa ha decretato che ogni Uomo prenda due mogli...» «Perché due?» chiesi io. «Adesso state esagerando con la vostra affettata ingenuità» esclamò lui. «Come fa un’unione ad essere completamente armoniosa senza la combinazione dei Quattro in Uno, cioè del Basso e del Tenore dell’Uomo con il Soprano e il Contralto delle due Donne?» «Ma supponendo» dissi io «che un Uomo preferisca avere una moglie, o tre?» «È impossibile», disse lui, «è inconcepibile come è inconcepibile che due più uno faccia cinque, o che l’occhio umano possa vedere una Linea Retta». Io l’avrei interrotto; ma lui proseguì in questo modo: «A metà di ogni settimana una Legge di Natura ci costringe a muoverci avanti e indietro con un moto ritmico di più che insolita violenza, che continua per il tempo che voi impieghereste a contare fino a centouno. Nel mezzo di questa danza corale, alla cinquantunesima pulsazione, gli abitanti dell’Universo si arrestano di botto, e ogni individuo emette il suo canto più profondo, più pieno, più dolce. E in questo momento fatidico che avvengono i nostri matrimoni. Così squisito è l’adattamento del Basso al Soprano, del Tenore al Contralto, che sovente le Amate, benché a ventimila leghe di distanza, riconoscono subito la nota rispondente dell’Amante a loro destinato; e, superando i meschini ostacoli della lontananza, l’Amore unisce i tre. Il matrimonio, consumato in quell’istante, dà origine a una triplice prole Maschile e Femminile che prende il suo posto in Linelandia».

«Come! Sempre triplice?» dissi io. «Dunque una Donna deve aver sempre dei gemelli?»

«O Mostruosità dalla voce di Basso! Sì!» replicò il Re. «In quale altro modo si potrebbe mantenere l’equilibrio dei Sessi se non nascessero due ragazze per ogni ragazzo? Vorreste ignorare l’Alfabeto stesso della Natura?» S’interruppe, l’ira lo aveva lasciato senza fiato; e passò qualche tempo prima che potessi indurlo a riprendere il suo racconto.

«Naturalmente non crederete che da noi ogni scapolo trovi le sue compagne al primo corteggiamento in questo Coro Matrimoniale universale. Al contrario, la maggior parte di noi ripete il procedimento molte volte. Pochi sono i cuori cui tocchi la buona ventura di riconoscere subito, nella voce l’uno dell’altro, il compagno destinato loro dalla Provvidenza, e di volare così a un reciproco e perfettamente armonioso amplesso. Per la maggior parte di noi il corteggiamento è di lunga durata. Magari la voce del Corteggiatore siaccorda con quella di una delle future mogli, manon con tutte e due; o, in principio, con nessuna delle due; oppure può darsi che il Soprano e il Contralto non armonizzino perfettamente fra di loro. In questi casi la Natura ha provveduto a che l’armonia degli Innamorati aumenti con ogni Coro settimanale. Ogni prova di voce, ogni nuova scoperta di discordanza, induce quasi impercettibilmente chi è meno perfetto, sia lui o lei, a modificare l’emissione vocale così da avvicinarsi a quella di chi è più perfetto. E dopo molti tentativi e molte approssimazioni, finalmente si raggiunge il risultato. Arriva un giorno in cui tutta la Linelandia intona il consueto Coro Matrimoniale, i tre innamorati lontani si trovano d’un tratto in perfetta armonia e, prima che se ne renda conto, il Terzetto coniugato è rapito in un duplice amplesso vocale; così la Natura si compiace di un nuovo matrimonio e di tre nuove nascite».

14. Sui miei vani tentativi di spiegare la natura della Flatlandia

Ritenendo che fosse giunto il momento di far scendere il Monarca, dai suoi voli lirici, al piano del senso comune, decisi di tentare di schiudergli qualche barlume della verità, vale a dire della natura delle cose nella Flatlandia. Incominciai così: «Come fa Vostra Maestà a distinguere la forma e la posizione dei suoi sudditi? Da parte mia, prima di entrare nel vostro Regno ho notato, mediante il senso della vista, che alcuni vostri sudditi sono Linee e altri Punti, e che alcune delle Linee sono più grandi...». «State parlando di una cosa impossibile» minterruppe il Re. «Dovete aver avuto una visione; perché scoprire la differenza fra una Linea e un punto mediante il senso della vista è, per la natura delle cose e come ognuno sa, impossibile. Ma si può scoprire mediante il senso dell’udito, e con questo mezzo la mia forma può essere esattamente determinata. Osservatemi... io sono una Linea, la più lunga della Linelandia, più di quindici centimetri di Spazio...» «Di Lunghezza» ebbi l’ardire di correggerlo. «Sciocco!» disse lui. «Lo Spazio è Lunghezza. Interrompetemi un’altra volta e non parlerò più».

Io chiesi scusa; ma lui continuò in tono di scherno: «Dal momento che siete tetragono alla voce della ragione, sentirete con le vostre orecchie come mediante le mie due voci io riveli la mia forma alle mie mogli, che in questo momento si trovano a diecimila chilometri, settanta metri e sessantotto centimetri di distanza, l’una a Nord, l’altra a Sud. Ascoltate, ora le chiamo».

Cinguettò, e poi continuò in tono compiaciuto: «In questo momento le mie mogli, ricevendo il suono di una delle mie voci, subito seguito da quello dell’altra, e notando che la seconda le raggiunge dopo un intervallo in cui il suono può percorrere cm 17,132, ne deducono che una delle mie bocche è di cm 17,132 più lontana da loro che l’altra, e in conseguenza sanno che la mia forma è di cm 17,132. Ma naturalmente vi renderete conto che le mie mogli non fanno questo calcolo ogni volta che sentono le mie due voci. Lo hanno fatto, una volta per tutte, prima che ci sposassimo. Ma potrebbero farlo in qualsiasi momento. E allo stesso modo, mediante il senso dell’udito, io posso dedurre la forma di ogni mio suddito Maschio».

«Ma», dissi io, «e se un Uomo con una delle sue due voci imitasse la voce di una Donna, o se camuffasse la sua voce Meridionale in modo da non farla riconoscere per l’eco di quella Settentrionale? Inganni consimili non possono causare gravi inconvenienti? E avete i mezzi per controllare frodi di questo genere, ordinando ai vostri sudditi vicini di tastarsi a vicenda?» Questa naturalmente era una domanda molto stupida, perché il Tastarsi non sarebbe servito allo scopo; ma l’avevo posta col proposito di irritare il Monarca, e vi riuscii alla perfezione.

«Cosa!» gridò inorridito. «Spiegatemi che volete dire». «Tastarsi, toccarsi, entrare in contatto» risposi. «Se per tastarsi»disse il Re «intendete avvicinarsi tanto da non lasciare più spazio fra due individui, sappiate, Straniero, che nei miei domini questo delitto è punibile con la morte. E la ragione è ovvia. Poiché la forma di una Donna è fragile, e correrebbe il rischio di uscire frantumata da un simile avvicinamento, lo Stato s’incarica di proteggerla; ma dal momento che non è possibile distinguere le Donne dagli Uomini mediante il senso della vista, la Legge ordina che nessuno, né Uomo né Donna, sia avvicinato tanto da distruggere l’intervallo fra chi si avvicina e chi viene avvicinato.

«E poi, quale potrebbe essere lo scopo di quest’eccessivo avvicinamento, illegale e innaturale, che chiamate toccarsi, quando tutte le finalità di un procedimento tanto rozzo e brutale vengono conseguite in modo tanto più semplice e più preciso dal senso delludito? Quanto all’eventualità che avete prospettato, del pericolo di un inganno, essa non esiste: perché la Voce, in quanto è l’Essenza di ognuno, non si può cambiare a volontà. Ma insomma, supponete che io abbia il potere di attraversare le cose solide, così da poter penetrare dentro i miei sudditi, l’uno dopo l’altro, magari fino al numero di un miliardo, accertando le dimensioni e la distanza di ciascuno mediante il senso del tatto: quanto tempo e quanta energia si sprecherebbero con questo metodo rozzo e impreciso! Mentre adesso, stando in ascolto per un momento, faccio, per così dire, il censimento e la statistica locale, corporea, mentale e spirituale di ogni essere vivente della Linelandia. Ascoltare, basta ascoltare!»

Così dicendo fece una pausa e, come in estasi, si mise in ascolto di un suono che non mi parve migliore del sottile frinire di un’incalcolabile moltitudine di cavallette lillipuziane.

«È vero», risposi io, «il vostro udito vi serve bene, e supplisce a parecchie delle vostre deficienze. Ma consentitemi di osservare che la vostra vita in Linelandia dev’essere di una monotonia deplorevole. Non vedere altro che un Punto! Non riuscire nemmeno a contemplare una Linea Retta! Anzi, non sapere nemmeno cosa sia, una Linea Retta! Vedere, ma essere privi di quelle prospettive Lineari che sono accordate a noialtri della Flatlandia! Certo è meglio non averlo affatto il senso della vista che vedere tanto poco! Vi concedo che il mio udito non ha le capacità discriminatrici del vostro, perché per me quel concerto di tutta la Linelandia che vi dà un piacere tanto intenso, non è altro che un cinguettio o un frinire molteplice. Ma io almeno ‘ sono in grado di distinguere con la vista una Linea da un Punto. E se permettete ve lo provo. Proprio prima di entrare nel vostro regno, vi vidi danzare da sinistra a destra, e poi da destra a sinistra; e nelle vostre immediate adiacenze c’erano sette Uomini e una Donna a sinistra, e otto Uomini e due Donne a destra. È esatto, sì o no?»

«È esatto» disse il Re «per quanto riguarda il numero e il sesso, benché non sappia che cosa vogliate dire con “destra” e “sinistra”. Ma nego che abbiate visto queste cose. Come avreste infatti potuto vedere la Linea, cioè l’interno, di un Uomo? Probabilmente di queste cose avrete sentito parlare, e poi avete sognato di averle viste. E lasciate che vi chieda che cosa intendete con questi termini “sinistra” e “destra”. Immagino che sia il vostro modo di dire Settentrionale e Meridionale».

«No» risposi io. «Oltre al vostro movimento verso Settentrione e verso Meridione, c’è un altro movimento che chiamo da destra a sinistra».

re. Mostratemelo, se vi garba, questo movimento da sinistra a destra.

io. No, non posso, a meno che voi non usciate completamente dalla vostra Linea.

re. Dalla mia Linea? Volete dire, dal Mondo? Dallo Spazio?

io. Ebbene, sì. Dal vostroMondo. Dal vostroSpazio. Perché il vostro Spazio non è il vero Spazio. Il vero Spazio è un Piano; ma il vostro Spazio non è che una Linea.

re. Se non potete indicarlo compiendolo, questo movimento da sinistra a destra, allora vi prego di descrivermelo a parole.

io. Se non potete distinguere il vostro fianco destro da quello sinistro, temo di non aver parole che possano rendervi chiaro quello che intendo. Ma non sarete all’oscuro di una distinzione tanto semplice.

re. Non vi capisco affatto.

io. Ahimè! Come spiegarmi? Quando vi muovete lungo una stessa retta, non vi viene mai in mente che potreste muovervi in qualche altro senso, in modo tale che il vostro occhio guardi nella direzione che in questo momento fronteggia il vostro lato? In altre parole, invece di muovervi sempre nella direzione di una delle vostre estremità, non provate mai il desiderio di muovervi nella direzione, per così dire, del vostro lato?

re. Mai. E che mai volete dire? Come fa l’interno di un Uomo a «fronteggiare» una qualsiasi direzione? E come fa un Uomo a muoversi nella direzione del suo interno?

io. Be’, allora, dal momento che le parole non riescono a spiegare la questione, proverò quanto dico con i fatti: uscirò gradualmente dalla Linelandia, nella direzione che desidero indicarvi.

A queste parole incominciai a tirare il mio corpo fuori della Linelandia. Finché l’ultima parte di me rimase nei suoi domini e nel raggio della sua vista, il Re continuò a dire eccitato: «Vi vedo, vi vedo ancora: voi non vi spostate affatto».

Ma quando finalmente fui uscito dalla sua linea, egli gridò con la sua voce più acuta: «È svanita; è morta!». «Non sono morto» replicai io. «Sono semplicemente fuori della Linelandia, vale a dire, fuori della Linea Retta che voi chiamate Spazio; sono cioè nel vero Spazio, dove posso vedere le cose come sono in realtà. E in questo momento posso vedere la vostra Linea, o lato, o interno, come vi piace di chiamarlo; e posso anche vedere gli Uomini e le Donne a Nord e a Sud di voi, anzi ve li voglio enumerare, descrivendone l’ordine, le dimensioni e l’intervallo fra l’uno e l’altro».

Dopo aver fatto quel che avevo detto per un certo tempo, esclamai in tono di trionfo: «Siete persuaso, finalmente?». E con questo rientrai in Linelandia, riprendendo la posizione di prima.

Ma il Monarca rispose: «Se foste un Uomo di senno (benché non avendo, a quanto pare, che una sola voce, mi sembra fuor di dubbio che non siete un Uomo ma una Donna), dunque, se aveste una particella di senno, dareste ascolto alla ragione. Voi mi chiedete di credere che vi è un’altra Linea oltre quella indicata dai miei sensi, e un altro moto oltre quello di cui mi rendo conto ogni giorno. In cambio, io vi chiedo di descrivermi a parole o di indicarmi col moto quell’altra Linea di cui parlate. Invece di spostarvi, vi limitate a fare sfoggio di una qualche arte magica per sparire e ritornare visibile; e invece di una lucida descrizione del vostro nuovo Mondo, mi venite semplicemente a raccontare il numero e le dimensioni di una quarantina dei miei sudditi, che sono cose note a ogni fanciullo della mia capitale. Si può concepire nulla di più sfrontato o irrazionale? Riconoscete la vostra follia o allontanatevi dai miei domini!».

Furioso per la sua pervicacia, e soprattutto indignato per la sua pretesa di ignorare il mio sesso, lo rimbeccai senza misurare i termini: «Essere abbrutito! Vi ritenete la perfezione dell’esistenza, mentre in realtà siete quanto di più debole e imperfetto ci sia al mondo. Pretendete di vedere, e non vedete altro che un Punto! Vi vantate di dedurre l’esistenza di una Linea Retta; ma io le posso vedere,le Linee Rette, e sono in grado di dedurre l’esistenza di angoli, Triangoli, Quadrati, Pentagoni, Esagoni e persino di Circoli. Perché sprecare altro fiato? Vi basti sapere che io sono il completamento del vostro essere incompleto. Voi siete una Linea, ma io sono una Linea di Linee, che al mio paese di chiama un Quadrato: e pensate che anche io, per quanto infinitamente superiore a voi, non conto che poco o nulla fra i grandi nobili della Flatlandia, donde sono venuto a visitarvi, nella speranza di illuminare la vostra ignoranza».

Udendo queste parole il Re avanzò verso di me con un grido minaccioso, come per trapassarmi la diagonale; e in quello stesso momento da miriadi dei suoi sudditi si alzò un immenso grido di guerra, la cui violenza continuò a crescere finché da ultimo mi parve rivaleggiare col fragore di un esercito di centomila Isosceli, e con l’artiglieria di mille Pentagoni. Attonito e immobile, non riuscivo a parlare né a muovermi per evitare la distruzione imminente; e il rumore continuava a crescere di volume, e il Re ad avvicinarsi, quando il campanello della colazione mi destò, riportandomi alla realtà della Flatlandia.