Verdi, "La Traviata"
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- Categoria: Ottocento
- Ultima modifica il Giovedì, 12 Giugno 2014 18:44
- Pubblicato Giovedì, 24 Aprile 2014 15:51
- Scritto da quomodo
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Verdi: croce e delizia
Il miglior romanticismo italiano
Giuseppe VERDI (1813-1901) - Francesco Maria PIAVE (1810-1876)
La Traviata, melodramma (1852)
Opera in tre atti e quattro quadri
Libretto di F. M. Piave da La dame aux camelias, di Alexandre Dumas figlio
Musica di G. Verdi.
Prima rappresentazione: Venezia, teatro La Fenice, 6 marzo 1853 (ed. Ricordi)
• Alexandre Dumas (figlio), La signora delle camelie (romanzo, 1848)
• Alexandre Dumas (figlio), La dame aux camélias (testo teatrale, 1848)
[non ho trovato una versione italiana, ma basta inserire parti del testo nel traduttore di Google, e il gioco è fatto]
• F. M. Piave - G. Verdi, La traviata [ebook doc]
Riassunto
Il preludio è composto di due sezioni, che anticipano (prolessi) due momenti cruciali dell’intreccio: la morte di Violetta (alla lettera ripreso nel preludio all’atto III) e il tema “Amami Alfredo”, proposto qui in forma di brillante ballabile, e ripreso in un arioso drammatico a metà dell’opera, nel momento in cui Violetta lascia Alfredo per sempre.
Atto I. – A Parigi durante il II impero. Agosto. (L’azione fu trasportata da Verdi stesso al sec. XVII, dopo la caduta dell’opera alla prima rappresentazione. Ma in seguito fu riportata all’epoca originaria).
In casa di Violetta Valery, una cortigiana d’alto bordo, si svolge una cena brillante (2): giungono diversi invitati tra cui l’amica Flora col protettore marchese d’Aubigny, il dottor Grenville, il barone Douphol amante di Violetta e, tra gli altri, il giovane Alfredo Germont, lui pure innamorato della bella. Egli trova modo di dichiarale il suo amore duranti il brindisi (“Libiam ne’ lieti calici”, 3), rendendosi antipatico al barone. Ancora più incalzante, diventa subito dopo quando, passati gli invitati nella sala da ballo, egli riesce e restar solo con Violetta, trattenuta da un lieve malessere, segno evidente della malattia mortale da cui è affetta: la tisi. Le parole del giovane sono calde (“Di quell’amor ch’è palpito | dell’universo intero”, 4), ma la bella signora lo sconsiglia di insistere: lei non è fatta per un amore così profondo. Gli dà però una camelia da riportare quando sarà appassita (ossia il giorno seguente), e lo lascia pieno di speranza. Gli ospiti se ne vanno (5) e Violetta, rimasta sola, pensa alle parole di Alfredo, cullandosi in un sogno affettuoso (“Ah forse è lui che l’anima”, 6). Ma subito si scuote: un vero amore non è per lei, che deve vivere solo per la gioia e per il piacere (“Sempre libera degg’io”, 6).
Atto II. (Quadro I). – Un salotto in una casa di campagna presso Parigi. Gennaio.
Il sogno di Violetta si è attuato: vive con Alfredo nel nascondimento di una villa di campagna, immersa nel suo amore. Alfredo si sente diventato un altro uomo, trasformato da lei (“De’ miei bollenti spiriti”, 7). Per caso tuttavia apprende dalla cameriera Annina che ora Violetta sta vendendo tutto il suo per mantenere il loro elevato tenore di vita: colto da vergogna, corre a Parigi per provvedere. Da Violetta, rimasta sola, giunge un signore sconosciuto: è Giorgio Germont, il padre di Alfredo, venuto a cercare il figlio che egli ritiene irretito dalla donna per il puro interesse di farsi mantenere da lui. Fin dall’inizio, però, egli si ricrede: Violetta non è un’adescatrice venale, ma una donna sensibile veramente innamorata di Alfredo, al quale intende sacrificare i suoi stessi averi. Germont però le chiede bel altro sacrificio: quello del suo stesso amore. La relazione irregolare di Alfredo, e tanto più il fatto che il mantenuto è lui, porta la vergogna sulla sua famiglia e sta per travolgere anche l’innocente sorella di lui, che il fidanzato minaccia di abbandonare se non si pone fine allo scandalo (“Pura siccome un angelo”, 8). Violetta si rifiuta, si ribella, difende il suo amore, ma il vecchio le insinua che, data la professione di lei, il suo non è un amore benedetto che possa durare; e intanto lei trascina alla rovina un’intera famiglia. La giovane allora comprende: lei deve cedere e compiere il sacrificio (“Dite alla giovine sì bella e pura”, 8), e non dovrà mai rivelarne ad Alfredo la vera ragione. Germont commosso l’abbraccia e la lascia. Violetta scrive una lettera ad Alfredo, ma è sorpresa da lui, inquieto perché ha saputo della venuta del padre. Violetta gli dice che vuole lasciarlo solo col padre e si ritira, ma al momento di abbandonarlo uno straziante grido d’amore esce dalla sua anima (“Amami Alfredo quant’io t’amo... Addio”, 9). Il giovane non ha tempo di rimettersi dal turbamento perché giunge il padre e subito dopo un servo gli consegna la lettera di Violetta. È un addio definitivo. Egli resta come inebetito, mentre il padre cerca di consolarlo (“Di Provenza il mare il suol”, 10). Ma un biglietto rivela ad Alfredo quello che egli crede la verità: Violetta è tornata dal barone, il suo amante precedente, e andrà a una festa da Flora. Ebbene, egli pure vi sarà.
Atto II (Quadro II). – Salone in casa di Flora.
Si svolge una festa brillante: intervengono un coro di zingarelle (12) e uno di mattadori (13) e l’allegria è piena. Giunge Alfredo che si mette compulsivamente a giocare e vince in continuazione. Più tardi giunge Violetta col barone (14). Vedendo l’amato lei comprende di essere venuta incautamente, ma ormai è tardi per ritirarsi. Il barone sfida al gioco Alfredo, che vince ancora. Poi gli invitati passano nella sala da pranzo. Violetta chema in disparte Alfredo, Egli la raggiunge pieno di sdegno e invano la giovane lo scongiura di andarsene: egli vuol sentirle dire che ormai lei ama il barone. Quando Violetta compie il suo sacrificio, confermando la menzogna, Alfredo chiama tutti a gran voce e, in un impeto di furore, le butta in faccia il denaro che ha vinto al gioco, per ripagarla pubblicamente di quanto ha fatto per lui. Violetta sviene: tutti allora si scagliano contro l’insultatore, che è pure rimproverato dal padre, sfidato dal barone e lacerato dal rimorso dell’azione infame che ha compiuto (15).
Atto III. – A Parigi: stanza da letto di Violetta. Febbraio.
Il celebre preludio (16) che apre l’atto, riprendendo il preludio dell’opera (che in questo modo si conferma una prolessi del finale), meglio di ogni parola esprime il disfacimento fisico della giovane, minata dalla tisi, e la purificazione operata in lei dal dolore. Annina sveglia la padrona: il dottor Grenville viene a visitarla, ma ormai non dà speranze. Violetta legge la lettera di Germont, che le annuncia il ritorno dall’estero di Alfredo, cui tutto è stato rivelato: attende, spera, ma ormai è tardi (“Addio del passato bei sogni ridenti”, 16). Dalla finestra entrano le note sguaiate di un baccanale carnevalesco (18); poi Annina arriva correndo, con la notizia che Alfredo è tornato. L’incontro tra i due è un canto d’amore e di speranza (“Parigi o cara noi lasceremo”, 18), ma purtroppo Alfredo presto si accorge della stato tragico di Violetta. Lei vorrebbe rialzarsi, correre in chiesa per celebrare il matrimonio con Alfredo, ma non riesce a farlo. Germont e il dottor Grenville accorrono, ma la gioia sembra aver accelerato la fine della giovane. Violetta consegna ad Alfredo un suo ritratto (“Prendi quest’è l’immagine”, 19), perché lo doni a cole che egli forse sposerà un giorno, assicurandolo che dal cielo ella veglierà su di loro (“Se una pudica vergine”, 19); sfinita si spegna tra le braccia dell’amato.
Per approfondire |
• Violetta e le altre [ppt]
• Verdi "La Traviata", dir. Bernard Haitink, con M. McLaughlin (Glyndebourn Opera Festival, 1988) [versione tradizionale]
• La Traviata di G. Verdi, dir. Daniele Gatti, con D. Damrau (Scala, 2013) [versione casalinga]
• La Traviata di Zeffirelli, ragia di Franco Zeffirelli, dir. James Levine, con T. Stratas (Metropolitan Opera, 1982) [versione filmica]
• molte altre versioni integrali o frammentarie si trovano in Youtube, digitando "verdi traviata".