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Tacito, Uccisione di Agrippina

Tacito: ventrem feri

L’ultimo attentato mortale contro Agrippina

 

Cornelius TACITUS (56-120 d.C.)

Annales, XIV, 5-6,8

 

[5] Noctem sideribus inlustrem et placido mari quietam quasi convincendum ad scelus dii praebuere.

 

nec multum erat progressa navis, duobus e numero familiarium Agrippinam comitantibus, ex quis Crepereius Gallus haud procul gubernaculis adstabat, Acerronia super pedes cubitantis reclinis paenitentiam filii et recuperatam matris gratiam per gaudium memorabat, cum dato signo ruere tectum loci multo plumbo grave, pressusque Crepereius et statim exanimatus est: Agrippina et Acerronia eminentibus lecti parietibus ac forte validioribus, quam ut oneri cederent, protectae sunt. nec dissolutio navigii sequebatur, turbatis omnibus et quod plerique ignari etiam conscios impediebant.

 

visum dehinc remigibus unum in latus inclinare atque ita navem submergere; sed neque ipsis promptus in rem subitam consensus, et alii contra nitentes dedere facultatem lenioris in mare iactus.

 

verum Acerronia, imprudentia dum se Agrippinam esse utque subveniretur matri principis clamitat, contis et remis et quae fors obtulerat navalibus telis conficitur.

 

Agrippina silens eoque minus agnita (unum tamen vulnus umero excepit) nando, deinde occursu lenunculorum Lucrinum in lacum vecta villae suae infertur.

 

[6] Illic reputans ideo se fallacibus litteris accitam et honore praecipuo habitam, quodque litus iuxta, non ventis acta, non saxis impulsa navis summa sui parte veluti terrestre machinamentum concidisset, observans etiam Acerroniae necem, simul suum vulnus adspiciens, solum insidiarum remedium esse [sensit], si non intellegerentur; misitque libertum Agermum, qui nuntiaret filio benignitate deum et fortuna eius evasisse gravem casum; orare ut quamvis periculo matris exterritus visendi curam differret; sibi ad praesens quiete opus. [...]

 

[8] Interim vulgato Agrippinae periculo, quasi casu evenisset, ut quisque acceperat, decurrere ad litus. hi molium obiectus, hi proximas scaphas scandere; alii, quantum corpus sinebat, vadere in mare; quidam manus protendere. questibus votis clamore diversa rogitantium aut incerta respondentium omnis ora compleri; adfluere ingens multitudo cum luminibus, atque ubi incolumem esse pernotuit, ut ad gratandum sese expedire, donec adspectu armati et minitantis agminis deiecti sunt.

 

Anicetus villam statione circumdat refractaque ianua obvios servorum abripit, donec ad fores cubiculi veniret; cui pauci adstabant, ceteris terrore inrumpentium exterritis.

 

cubiculo modicum lumen inerat et ancillarum una, magis ac magis anxia Agrippina, quod nemo a filio ac ne Agermus quidem: aliam fore laetae rei faciem; nunc solitudinem ac repentinos strepitus et extremi mali indicia. abeunte dehinc ancilla, “tu quoque me deseris?” prolocuta respicit Anicetum, trierarcho Herculeio et Obarito centurione classiario comitatum: ac si ad visendum venisset, refotam nuntiaret, sin facinus patraturus, nihil se de filio credere; non imperatum parricidium.

 

circumsistunt lectum percussores et prior trierarchus fusti caput eius adflixit. iam [in] morte[m] centurioni ferrum destringenti protendens uterum “ventrem feri” exclamavit multisque vulneribus confecta est.

 

 

 Problemi grammaticali

 

 Traduzione interpretativa (qm)

Notte tempestata di stelle e solitaria sul pelo del mare, come se gli dèi volessero smascherare un delitto.

La nave non s’era allontanata gran che dalla costa; due persone del suo sèguito erano tutta la compagnia di Agrippina: Crepereio Gallo bazzicava torno torno al timoniere; e Acerronia, a far le fusa ai piedi del letto di lei, si deliziava che lui, il figlio, si era pentito e lei, la madre, lo aveva perdonato. A un fischio convenuto, il soffitto della cabina si sfonda e rovescia un sacco di piombo sulla testa a Crepereio, che crepa sul colpo; Agrippina e Acerronia si salvano solo per le sponde alte del letto, chissà come più resistenti del peso precipitatogli sopra. Ma lo yacht non si sfasciava mica, visto che gli attentatori e il personale al di sopra di ogni sospetto si davano di gomito a vicenda.

Così i rematori pensano bene di scrollare la nave da una parte e farla andar giù di brutto; ma figurati se si mettono subito d’accordo all’improvviso, e tirando chi di qua chi di là, la fanno affondare neanche di una spanna.

Però Acerronia, che non aveva capito una mazza, urlava a squarciagola che era lei Agrippina, aiutate la mamma dell’imperatore: così la fanno fuori a forza di legnate, coi remi e cogli aggeggi marinari che gli capitavano per le mani.

Agrippina, muta come un pesce per non farsi riconoscere (si era beccata solo un graffietto alla spalla), a nuoto, poi da mezzanucci (barchette di ruffiani) passati di lì, viene trasferita attraverso il lago Lucrino e trasportata alla sua villa.

A quel punto, comincia finalmente a sospettare di esser caduta sana sana in una trappola, per il gusto di accettare un riconoscimento un po’ eccessivo: ci voleva il naufragio avvenuto praticamente sulla spiaggia, senza un filo di vento, senza che la nave sfiorasse gli scogli, piovuto giù dal tetto come un grattacielo, per capirlo... e l’ammazzamento di Acerronia, e il graffio che si era presa sulla spalla... pensò bene che l’unica soluzione all’attentato era far finta di niente. Così mandò il liberto Agermo a portare al figlio la notizia che, grazie alla benevolenza divina e al puro caso, era scampata a un terribile incidente; e insieme caldamente insisteva che, per quanto scosso dalla brutta esperienza corsa da sua madre, non si desse la briga di andarla a trovare: lei al momento aveva bisogno soltanto di stare da sola [...]

Intanto girava voce sull’incidente di Agrippina, come se fosse accaduto per mera casualità: man mano che si veniva a sapere, i curiosi si precipitavano sulla spiaggia. Questi si arrampicano sui moli, questi altri sulle barche rovesciate; c’è chi si inoltra nell’acqua fino al collo, chi agita le braccia. Piagnucolamenti, preghiere, schiamazzi d’ogni tipo, gente che faceva domande o che rispondeva quel che non sapeva, saturavano tutta la spiaggia. Arrivava una gran folla con le luci e, appena si seppe per certo che lei era sana e salva, correvano a cercarla per complimentarsi, fin quando si dispersero alla vista di un agguerrito schieramento di polizia.

Aniceto fa circondare la villa dai suoi gorilla, sfonda la porta, prende a calci gli schiavi che gli attraversano la strada, e arriva all’ingresso della camera da letto. Sulla soglia erano rimasti in pochi: tutti gli altri se l’erano svignata atterriti dal terrore dell’irruzione.

Nella cameretta tremava una piccola luce e un’ultima cameriera, e Agrippina più e più angosciata: nessun emissario di suo figlio, nemmeno Agermo: un’altra faccia hanno le belle notizie; ma in quel punto nessuno, e strani rumori, e sentori della fine. La cameriera fa per svicolare: “te ne vai anche tu?”, dice lei, e le cadono gli occhi su Aniceto, col comandante di vascello Erculeio e il guardia-marina Obarito che gli stanno alle calcagna: è venuto a farle visita? si è rimessa, grazie: glielo dica; o magari era lì per qualcosa di brutto? no, non poteva credere che suo figlio... far ammazzare sua madre...

Si piazzano ai lati del letto gli assassini, e per primo il comandante le vibra una legnata sulla testa; poi al guardia-marina col pugnale in mano che stava lì per il colpo di grazia, “colpisci alla pancia” urlò, ma la finiscono con una gragnola di colpi.