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Catullo, 83 "Lesbia mi praesente viro"

Catullo: uritur et loquitur

Testa a testa il marito e l’amante

 

C. Valerius CATULLUS, Carmina, LXXXIII

In questo carme il tema dominante è l’antitesi fra la situazione oggettivamente cattiva e la sua interpretazione soggettivamente buona, anche se – ulteriore antitesi – vista dai due soggetti in contrasto, il marito e l’amante, con due accezioni positive ovviamente opposte. Si manifesta bene qui la tendenza psicologica dell’innamorato di leggere significanti negativi attribuendogli significati positivi.

Siamo in una fase iniziale dell’amore, anche se una parola svela, come una prolessi, l’ombra della fine già scritta: Lesbia, se non parlasse male di lui, sana esset (v. 4), sarebbe sana, non malata, perché l’amore è una brutta malattia, come sarà poi ammesso in altri carmi. È rilevante, comunque, che il periodo ipotetico è posto in forma irreale, come se l’io ribadisse che, anche volendo, Lesbia non potrebbe né tacere, né tanto meno restare immune dall’amore per lui.

Come sempre nei carmi catulliani, per quanto brevi, le ricorrenze lessicali e concettuali sono numerose (oblita/meminit; gannit/irata est; obloquitur/loquitur, quasi in rima), e marcano con la loro presenza le coordinate emotive principali del testo. La locuzione forse più interessante è irata est (v. 6), che rimanda al livello emotivo-affettivo dell’anima platonica (lo spiritus irascibilis dei medievali), analogamente al più debole sentis, che però è riferito in negativo a quell’asino del marito. Notevole anche la presenza frequente di est, come pure l’ultimo verso costituito quasi esclusivamente di verbi intransitivi al presente.

Nota metrica: distici elegiaci.

 

Lesbia mi praesente uiro mala plurima dicit:
    haec illi fatuo maxima laetitia est.

mule, nihil sentis? si nostri oblita taceret,
    sana esset: nunc quod gannit et obloquitur,

non solum meminit, sed, quae multo acrior est res,
    irata est: hoc est, uritur et loquitur.

Lesbia, presente il marito, mi dice molte cattiverie:
    questa, per quel fatuo, è grandissima gioia.

Asino! non pensi? se, scordatasi di noi, tacesse,
    sarebbe sana: ora, poiché sbraita e parla contro,

non solo si ricorda, ma – cosa che è molto più aspra –
    è adirata: cioè, brucia e parla.

 

 

 Traduzioni contrastive

 

1. Enzo Mandruzzato (1982)

Lesbia dice di me, col marito, ogni male possibile;
    ciò manda in visibilio quello scemo.

Mulo, quanto capisci. Se tacesse, se mi scordasse,
    sarebbe senza febbre. Invece strilla e vocia.

Ricorda, se ricorda! e ciò che va nel profondo,
    è arrabbiata. Un febbrone che la cuoce.

2. Mario Ramous (1988)

   Col marito Lesbia mi travolge d’ingiurie
e quello sciocco nel trae una gioia profonda.
Stronzo, non capisci? tacesse, m’avrebbe dimenticato,
sarebbe guarita, invece sbraita e m’insulta:
non solo ricorda, ma cosa ben più grave
è furente. Brucia d’amore, per questo parla.

3. Guido Paduano (1998)

   Lesbia davanti al marito non fa che parlare male di me,
e questo per quell’idiota è la massima gioia.
Non capisci, cretino, che se mi avesse scordato,
e tacesse, sarebbe guarita; ma se parla e starnazza,
è segno che non solo ricorda, ma ciò che è peggio,
è arrabbiata: insomma, parla perché brucia.

4. qm (2008)

Lesbia a me, davanti al marito, mi urla cattiverie,
    e lui, quel deficiente, ci fa gran sghignazzate.

Scemo: che credi? se se ne stava zitta, a non pensarmi,
    allora era guarita: ma adesso, già che strilla e insulta,

non solo pensa a me, ma – questo sì che punge! –
    è un fuoco di passione: capito? – brucia e parla.