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Foscolo, “Di se stesso”

Foscolo: non son chi fui, perì di noi gran parte

Mente e cuore di fronte al suicidio

 

Ugo Foscolo (1778-1827),
dai Sonetti, ii (1801)

 

Questo sonetto è strettamente connesso per ragioni stilistiche e tematiche con il n. 12 “Che stai? già il secol l’orma ultima lascia”, col quale costituiva una specie di dittico nella prima edizione del 1803. Del resto, l’incipit ripreso quasi alla lettera da una fonte classica, lo collega al n. 10 “Un dì s’io non andrò sempre fuggendo”, col quale ha in comune anche la struttura regolare di una frase per ogni sezione.

Il pessimo giudizio su se stesso domina la fronte di questa lirica, che dedica invece la sirma a contemplare l’idea del suicidio, da cui l’autore si sente insieme attratto e respinto. Di impronta alfieriana, e più largamente romantica, è la contrapposizione tra mente e core rilevata nel centro della composizione (poi ripresa dall’antitesi fiera ragion / furor, carità).

Nota metrica: sonetto, rime ABAB ABAB CDC DCD.

 

                  DI SE STESSO  

   Non son chi fui; perì di noi gran parte:
questo che avvanza è sol languore e pianto.
E secco è il mirto, e son le foglie sparte
del lauro (1), speme al giovenil mio canto.

   Perché dal dì ch’empia licenza e Marte (2)
vestivan me del lor sanguineo manto,
cieca è la mente e guasto il core, ed arte
la fame d’oro (3), arte è in me fatta (4), e vanto.

   Che se pur sorge di morir consiglio (5),
a mia fiera ragion chiudon le porte
furor di gloria, e carità di figlio (6).

   Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte,
conosco il meglio ed al peggior mi appiglio,
e so invocare e non darmi la morte.

1 Il mirto sacro a Venere allude all’amore; il lauro, sacro ad Apollo, simboleggia la poesia: quindi “l’amore è seccato, la poesia ha perso la vitalità”.
2 “dal giorno che l’immorale eccesso di libertà e la guerra”: allude alla sua adesione agli ideali rivoluzionari e alle campagne napoleoniche.
3 Variante: «l’umana strage».
4 “l’avidità di ricchezza è diventata in me un mestiere”.
5 “proposito di morire”, intento suicida.
6 “alla mia ragione feroce si oppongono la pazzia per la gloria e l’amore per mia madre”.

 

 Strutture e connotazioni

Significante. La struttura del testo si caratterizza per un andamento decisamente binario dei periodi, che occupano quasi sempre due versi ciascuno, e per la netta bipartizione di molti versi, tutti a minore tranne il v. 10 (solo i vv. 7 e 11 scandiscono un ritmo ternario).

Significato. I primi due versi della lirica sono tratti da un‘elegia (I, 1-2) di Massimiano (contemporaneo e amico di Boezio, inizio sec. VI d.C.): «Non sum qui fueram: perit pars maxima nostri; | hoc quoque quod superest languor et horror habet». Per il resto è intessuta di reminiscenze petrarchesche. Interessante il chiaro aspetto perfettivo dei passati remoti del v. 1: fui = “ora non sono più”; perì = “ora è già morta” gran parte di me. Per il resto, il sonetto si fonda su una sequenza di antitesi, che al v. 10 si condensano nell’ossimoro «fiera ragion». L’affetto filiale che trattiene dal suicidio (vv. 10-11) è un tema di Seneca (Ad Luc. 78, 2); come il motivo del conoscere il bene eppure fare il male (v. 13) risente lontanamente di san Paolo (Rom 7, 19: “Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio”), anche se qui è antifrastico, nel senso che il bene per Foscolo sarebbe il suicidio mentre il male è rimanere in vita.