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Manzoni, “Ritratto di se stesso”

Manzoni: gli uomini e gli anni mi diran chi sono

Prima prova di posa alfieriana (con riserva)

 

Alessandro Manzoni (1785-1873)
dalle Liriche giovanili
, vi (1801)

 

Fa un certo effetto accostare questa poesia del giovanissimo Manzoni, poco più di un esercizio scolastico a dire il vero, ma fecondo di implicazioni culturali ed emotive, specie nel confronto col modello alfieriano “Sublime specchio di veraci detti”, con cui in parte si accorda e in parte differisce, specie nell’atteggiamento di fondo, forse più empfindsamer (sensibile-emotivo) e moraleggiante che aggressivamente romanticheggiante. Un giusto preludio per una coerente carriera.

Nota metrica: sonetto, rime ABAB BAAB CDC EDE.

 

          [RITRATTO DI SE STESSO]
 

   Capel bruno: alta fronte: occhio loquace:
Naso non grande e non soverchio umìle (1):
Tonda la gota e di color vivace:
Stretto labbro e vermiglio; e bocca esìle:

   Lingua or spedita or tarda (2), e non mai vile,
Che il ver favella (3) apertamente, o tace.
Giovin d’anni e di senno; non audace:
Duro di modi, ma di cor gentile.

   La gloria amo e le selve e il biondo iddio (4):
Spregio (5), non odio mai: m’attristo spesso:
Buono al buon, buono al tristo, a me sol rio (6).

   A l’ira presto (7), e più presto al perdono:
Poco noto ad altrui (8), poco a me stesso:
Gli uomini e gli anni mi diran chi sono.

1 “non troppo piccolo”.
2 “ora veloce, ora lenta”.
3 “che dice la verità”.
4 “il dio biondo”: forse il sole, oppure Apollo (la poesia), o Cupìdo (l’amore).
5 “io disprezzo”.
6 “buono col buono, buono col cattivo, duro solo con me stesso”.
7 “veloce”, pronto.
8 “agli altri”.

 

 Strutture e connotazioni

Significante. Lo schema rimico di questo sonetto è piuttosto insolito, specialmente nelle quartine, di cui la prima ha rime alterne, la seconda incrociate, ma partendo dalla rima B, che per giunta si avvale nella prima quartina della arcaica pronuncia piana di due parole normalmente sdrucciole: umìle / esìle. Tentennamenti stilistici di un poeta alle prime armi? Rispetto al modello alfieriano, in cui domina il ritmo binario, si nota qui una certa preferenza per gli schemi ternari (del tipo 2x3: capel bruno / alta fronte / occhio loquace, v. 1; gloria / selve / biondo iddio, v. 9; ma soprattutto 2+1: lingua spedita / tarda // mai vile, v. 5; giovin d’anni / di senno // non audace, v. 7).

Significato. Il modello alfieriano è insieme evidente e ripensato. Manca l’apostrofe d’esordio allo specchio, ma la prima quartina è dedicata all’aspetto fisico, cui segue una sezione più ampia relativa al carattere e ai sentimenti. La chiusura è affidata anche qui a un verso epigrammatico, che però si oppone all’atteggiamento di Alfieri, chiamando in causa gli uomini e la vita, laddove il modello chiudeva incentrandosi sull’individuo («uom sei tu grande o vil?») e sulla morte («muori e il saprai»). Ingenue la sinestesia occhio loquace (v. 1), o la perifrasi biondo iddio. Ma le antitesi, su cui si fonda tutta la zona centrale (come nel modello), attenuate dal ritmo tendenzialmente ternario, comportano alla fine una sensazione più di equilibrio in medio che non di conflitto insanabile degli opposti, anche per l’insistenza da un lato sulla negazione dei tratti negativi: non mai vile, non audace, non odio mai; dall’altro sulla affermazione finale di quelli positivi: cor gentile (di antica tradizione stilnovista, se pure rivisitata), amo, buono, perdono. Una specie di Alfieri in erba, tutto casa e chiesa.