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Alfieri, “Il proprio ritratto”

Alfieri: la mente e il cor meco in perpetua lite

Il prototipo della posa alfieriana

 

Vittorio ALFIERI (1749-1803)
dai Sonetti,
CLXVII (1786)

 

Se c’è una espressione che inquadra in modo emblematico il mito schiettamente romantico del conflitto insanabile nell’uomo tra lucidità razionale e furore emotivo-affettivo, è certo il v. 11 di questo celebre autoritratto alfieriano: «la mente e il cor meco in perpetua lite».

Imitatissimo al tempo dai giovani poeti italiani, o aspiranti tali, il sonetto contiene tutti gli elementi, fisici e psicologici, destinati a fissarsi nello stereotipo dell’uomo romantico, solitario e scontroso, raffinato e scapigliato, ispirato e febbrile, sempre alla ricerca di un equilibrio nei suoi perenni conflitti col mondo e con se stesso, con l’occhio dello spirito rivolto oltre la società e la storia del presente.

Nota metrica: sonetto, rime ABAB ABAB CDC DCD.

 

           IL PROPRIO RITRATTO 
 

   Sublime specchio di veraci detti (1),
Mostrami in corpo e in anima qual sono:
Capelli, or radi in fronte, e rossi pretti (2);
Lunga statura, e capo a terra prono (3);

   Sottil persona in su due stinchi schietti (4);
Bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;
Giusto naso, bel labro, e denti eletti (5);
Pallido in volto, piú che un re sul trono:

   Or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;
Irato sempre, e non maligno mai;
La mente e il cor meco in perpetua lite:

   Per lo piú mesto (6), e talor lieto assai,
Or stimandomi Achille, ed or Tersite (7):
Uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il (8) saprai.

 

1 “che dici cose vere”.
2 “puri”.
3 “chinato in avanti”.
4 “gambe diritte”, metonimia.
5 “perfetti”.
6 “triste”.
7 “ora ritenendomi un eroe, ora un antieroe”. Tra i guerrieri achei sotto le mura di Troia, Achille era il più bello e valoroso; Tersite il più brutto e vigliacco.
8 “lo”.

 

 Strutture e connotazioni

Significante. Lo schema rimico è il più semplice possibile, basato sulla pura alternanza delle quattro rime (due per la fronte e due per la sirma). Unico rilievo fonetico è la condensazione delle allitterazioni in -r- alternate alle -l- nei vv. 9-12, in corrispondenza delle contrasto fra emozioni aspre e violente e quelle miti e pacate. Quanto agli schemi interni dei versi, si noterà una propensione spiccata alla scansione binaria, quasi sempre nella forma 2x2, in tutte le combinazioni (diretta: sublime specchio / veraci detti, v. 1; duro acerbo / pieghevol mite, v. 9; chiastica: sottil persona / stinchi schietti, v. 5; anche in variatio: radi in fronte / rossi pretti v. 3), tranne i vv. 6-7 costruiti su un ritmo ternario 2x3 (bianca pelle / occhi azzurri / aspetto buono).

Significato. L’esordio, con una apostrofe allo specchio (vocativo v. 1, e imperativo v. 2) è forse l’aspetto più datato del testo, non a caso scomparso nelle riprese degli autori posteriori. Quindi segue una sezione descrittiva, composta per lo più di enumerazioni (tutte variazioni sul tema aggettivo+sostantivo), che occupa il resto delle quartine, fino alla metafora «più che un re sul trono» (v. 8), che rinvia implicitamente al tema del tiranno, un motivo ricorrente nel pensiero e negli scritti di Alfieri. Le terzine spostano l’attenzione sugli aspetti caratteriali ed emotivi, fondandosi espressivamente su una sequenza di antitesi, imperniate sull’epifonema del perenne conflitto fra mente e cor (v. 11), e confluenti nella enfatica sermocinatio del v. 14: la domanda retorica, che riprende in grande e vil le antonomasie di Achille e Tersite (v. 13), e la risposta epigrammatica, in cui la prospettiva del sonetto viene ribaltata in senso paradossale.

 

 Proposte di lavoro

Questo è il sonetto che costituisce il prototipo di vari sonetti di autoritratto composti da altri autori dell’età romantica: può essere utile istituire dei confronti, per verificare:

• in quali aspetti le derivazioni sono uguali al modello
• in quali aspetti si differenziano, conservando il riferimento
• in quali aspetti sono autonomi e originali
• quali ragioni motivano le eventuali differenze.

Si vedano anche le proposte di lavoro nel sonetto di Foscolo “Solcata ho fronte, occhi incavati intenti”.