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Foscolo, Il tavolo di lavoro dell’Ortis

Foscolo: dalla vita alla letteratura

Il tavolo di lavoro dell’Ortis

 

Ugo Foscolo (1778-1827)

Epistolario, I Ortis 1802 Ortis 1816
lettera lxxviii, pp. 333-34 9 febbraro 17 marzo

Eccomi sempre con te: sono stato tutt’oggi in casa, e tutti i miei pensieri sono con la mia Antonietta; ho incominciato a studiare più volte, ma mi pare perduto ogni momento che non sia secrato a te sola, a te, amica del mio cuore. [...]

Eccomi sempre con te: sono ormai cinque giorni ch’io non posso vederti, e tutti i miei pensieri sono consecrati a te sola, a te consolatrice del mio cuore.  E quando sto seco – ad altri forse nol crederesti, o Lorenzo, a me sì – allora non le parlo d’amore. È mezz’anno oramai da che l’anima sua s’è affratellata alla mia, e non ha mai inteso uscire fuor delle mie labbra la certezza ch’io l’amo. [...] 

È vero... io non ti posso dar tutto, io sono melanconico, perseguitato da chi non mi conosce, e sommamente infelice; sì, infelice perché possedo un cuore che mi rende la vita tempestosa e dolente, e che mi condurrà al sepolcro per la via delle lagrime... è vero; non ti posso fare felice, ma io ti do tutto quello che ho; io t’amo, e appunto t’amo estremamente perché, fuori di te, cosa mi resta di lusinghiero e di dolce in questa misera vita? Tutto è follia, mia tenera amante, tutto, purtroppo!

È vero; io non ti posso fare felice. Quel mio Genio, di cui spesso ti parlo, mi condurrà al sepolcro per la via delle lagrime. Io non posso farti felice... e lo diceva stamattina a tuo padre, che sedea presso al mio letto e sorrideva delle mie malinconie: ed io gli confessava, che fuori di te nulla di lusinghiero, e di caro mi resta in questa povera vita. Tutto è follia, mia dolce amica; tutto pur troppo! – E qual altra pietà posso mai darle, da questa in fuori di tenerle, quanto avrò forza, tenerle occulte come più potrò tutte le mie passioni? Né io vivo se non per lei sola:

e quando anche il soave sogno de’ nostri amori terminerà, credimi, io calerò il sipario; la gloria, il sapere, l’amicizia, le ricchezze, tutti fantasmi che hanno recitato fino ad ora nella mia commedia, non fanno più per me. Io calerò il sipario, e lascerò che gli uomini si affannino per fuggire i dolori di un’esistenza che non sanno troncare.

E quando questo mio sogno soave terminerà, quando gli uomini, e la fortuna ti rapiranno a questi occhi, io calerò il sipario: la gloria, il sapere, la gioventù, le ricchezze tutti fantasmi, che hanno recitato fino ad ora nella mia commedia, non fanno più per me: io calerò il sipario, e lascierò che gli uomini s’affannino per fuggire i dolori di una vita che ad ogni minuto si accorcia, e che pure que’ meschini se la vorrebbero persuadere immortale. Addio, addio.

e quando anche questo mio nuovo sogno soave terminerà, io calerò volentieri il sipario. La gloria, il sapere, la gioventù, le ricchezze, la patria, tutti fantasmi che hanno fino ad or recitato nella mia commedia, non fanno più per me. Calerò il sipario; e lascierò che gli altri mortali s’affannino per accrescere i piaceri e menomare i dolori d’una vita che ad ogni minuto s’accorcia, e che pure que’ meschini se la vorrebbero persuadere immortale. 
     

lettera lxxxvi, p. 348

Ferrara, 20 luglio, a sera, ore...

Ferrara, 20 luglio, a sera, ore...

[...] e non ho niun soccorso negli uomini, niuna consolazione in me stesso. Omai non so che ricorrere al Cielo, e pregarlo con le mie lagrime, e cercare qualche conforto fuori di questo mondo dove tutto ci perseguita e ci abbandona. Credimi, mia Antonietta, se il mio pianto, se le mie preghiere, se i miei rimorsi, se il dolore profondo che è fatto carnefice ormai di questo mio povero cuore, fossero rimedi bastanti per te; tu saresti risanata, ed io ringrazierei i miei tormenti. E intanto? nella mia estrema afflizione sa il Cielo in che pericoli tu sei! né io posso soccorrerti, né giovarti con le mie lagrime, né accogliere nel mio petto i tuoi segreti, né dividere il tuo dolore. Io non so frattanto né se parti, né dove sei, né in quale stato io ti lascio. Non abbiamo più niun soccorso dagli uomini, niuna consolazione in noi stessi. Omai non so che supplicare il sommo Iddio e supplicarlo co’ miei gemiti, e cercare qualche aiuto fuori di questo mondo dove tutto ci perseguita o ci abbandona. E se gli spasimi, e le preghiere, e il rimorso ch’è fatto già mio carnefice, fossero offerte accolte dal cielo, ah, tu non saresti così infelice, ed io benedirei tutti i miei tormenti. Frattanto nella mia disperazione mortale chi sa in che pericoli tu sei! né io posso difenderti, né rasciugare il tuo pianto, né raccogliere nel mio petto i tuoi segreti, né partecipare delle tue afflizioni. Io non so né dove fuggo, né come ti lascio, né quando potrò più vederti...  Ah né io te lo voglio persuadere! – eppure non abbiamo più ajuto veruno dagli uomini, nessuna consolazione in noi stessi. Ormai non so che supplicare il sommo Iddio, e supplicarlo co’ miei gemiti, e cercare alcuna speranza fuori di questo mondo dove tutti ci perseguitano e ci abbandonano. E se gli spasimi, e le preghiere, e il rimorso ch’è fatto già mio carnefice, fossero offerte accolte dal Cielo, ah! tu non saresti così infelice, ed io benedirei tutti i miei tormenti. Frattanto nella mia disperazione mortale chi sa in che pericoli tu sei! né io posso difenderti, né rasciugare il tuo pianto, né raccogliere nel mio petto i tuoi secreti, né partecipare delle tue afflizioni; non so né dove fuggo, né come ti lascio, né quando potrò più rivederti. 

 

 Proposte di lavoro

In questa scheda sono riportati alcuni testi foscoliani: nella prima colonna vi sono brani da un paio di vere lettere inviate dall’autore ad Antonietta Fagnani Arese (una delle sue numerose relazioni sentimentali); nella seconda vi sono passi tratti dalla edizione dell’Ortis del 1802; nella terza colonna infine i passi corrispondenti nella edizione del 1816.

Può essere interessante e utile confrontare tra loro i brani secondo la scansione diacronica, segnando anzitutto le parti uguali e la loro rispettiva collocazione; quindi si può procedere a identificare le modifiche, distinguendole e descrivendole secondo che siano varianti di inventio, di dispositio o di elocutio; infine si possono formulare ipotesi sulle ragioni dei vari mutamenti.