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Ungaretti, interviste e letture

Giuseppe Ungaretti. Vita d’un uomo (1888-1970)

di Gabriella Sica (Rai, 1970)

 

[trascrizione delle interviste e delle poesie]

SONO UNA CREATURA
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

Come questa pietra
del S. Michele
cosí fredda
cosí dura
cosí prosciugata
cosí refrattaria
cosí totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto 10
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo 

[da L'Allegria]

I poeti che mi attrassero subito sono due: un poeta italiano che è Leopardi, e un poeta francese che è Mallarmé. È curioso: io ho conosciuto Mallarmé ancora ragazzo, ancora scolaro, e mi battevo con i miei compagni, perché i miei compagni consideravano che era un poeta oscuro, come lo è difatti, e non lo capivo neanche io. Ma c'era qualche cosa in Mallarmé che mi attraeva: sentivo che in quella poesia intensa c'era un segreto, e che la poesia è poesia quando porta in sé un segreto.

Giuseppe Ungaretti nasce il 10 febbraio 1888 ad Alessandria d'Egitto, "figlio di contadini" emigrati dalla Lucchesia.

TI VIDI ALESSANDRIA
1914-1915

Ti vidi, Alessandria,
Friabile sulle tue basi spettrali
Diventarmi ricordo
In un abbraccio sospeso di lumi.

Da poco eri fuggita e non rimpiansi           5
L’alga che blando vomita il tuo mare,
Che ai sessi smanie d’inferno tramanda.
Né l’infinito e sordo plenilunio
Delle aride sere che t’assediano,
Né, in mezo ai cani urlanti,                      10
Sotto una cupa tenda
Amori e sonni lunghi sui tappeti.

Sono d’un altro sangue e non ti persi,
Ma in quella solitudine di nave
Piú dell’usato tornò malinconica              15
La delusione che tu sia, straniera,
La mia città natale. [...]

[da Sentimento del tempo]

Ungaretti, nell'estate del 1912, lascia Alessandria d'Egitto e va a Parigi con l'amico Moammed Sceab. Vi resterà fino al 1921, esclusa la parentesi italiana della guerra.

Vorrei ricordare com'è nata al pubblico la mia poesia - non com'è nata in me, perché quella è una cosa che non saprei spiegare. E dunque in un caffè, la Closerie de Vidal, dove ci si riuniva credo tutti i martedì inttorno a Beaufort, che era il principe dei poeti - Parigi era carica di gente, di poeti veri o falsi di ogni paese. Lì incontrai Soffici e Palazzeschi e Marinetti e Papini, che erano arrivati a Parigi in occasione della fondazione - credo - delle Soirées de Paris da parte di Apollinaire. Doveva essere verso il '12. Mi presentarono a Soffici, gli amici che ho già nominato, e mi chiesero questi amici, dissero che ero poeta, e mi chiesero di dare loro delle poesie; io avevo delle poesie: non pensavo di pubblicarle. E allora quelle poesie sono state le mie prime poesie uscite in rivista, in Lacerba, soprattutto per opera di Palazzeschi, di Papini e di Soffici.


L'ALLEGRIA
(1914-1919)

NOSTALGIA
Locvizza il 28 settembre 1916

Quando
la notte è a svanire
poco prima di primavera
e di rado
qualcuno passa

Su Parigi s’addensa
un oscuro colore
di pianto

In un canto
di ponte
contemplo
l’illimitato silenzio
di una ragazza
tenue

Le nostre
malattie
si fondono

E come portati via
si rimane

Ho scritto il primo libro di poesie Il Porto sepolto, e poi una parte dell'Allegria, l'ho scritta in trincea, l'ho scritta su quei pezzetti di carta che mi capitava d'avere, sull'involucro delle pallottole di cartone, su delle cartoline, e così, nel pericolo fra un tiro e l'altro.

FRATELLI [scheda]
Mariano il 15 luglio 1916

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell’aria spasimante
involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli

L'uomo nella guerra manifestava i suoi peggiori istinti, anche se quella guerra, quando c'eravano entrati, anche quando l'avevamo voluta, ci sembrava che fosse l'ultima guerra, che fosse la guerra per liberare l'uomo dalla guerra. La guerra non libera mai l'uomo dalla guerra. La guerra è e rimarrà sempre l'atto più bestiale dell'uomo; e purtroppo la storia ci insegna anche in questi giorni, che l'imperialismo, che la necessità di dominare gli altri attraverso la violenza non è cessata.

SOLDATI [scheda]
Bosco di Courton luglio 1918

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

Quando io mi sono trovato di fronte alla guerra, io mi sono trovato anche di fronte ad un linguaggio che dovevo per forza di cose rinnovare, rendere essenziale, perché anche non avevo il tempo di usare un linguaggio complesso, avevo bisogno di un linguaggio che fosse essenziale, riducendosi al vocabolo, essenziale proprio a un punto estremo - anche l'altro linguaggio è essenziale, ma questo ad un punto estremo - quindi dando al vocabolo un valore enorme, e questo proprio per necessità di circostanze.

IN MEMORIA
Locvizza il 30 settembre 1916

Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva piú
Patria

Amò la Francia
e mutò nome

Fu Marcel [...]

I contatti con Apollinaire sono stati frequenti fino dal primo momento. L'incontro che mi rimane più impresso del mio rapporto con Apollinaire è l'ultimo incontro. Ero in zona di guerra, in Champagne, e Apollinaire mi aveva chiesto che tornando a Parigi gli portassi dei toscani, che gli piacevano, E tornai a Parigi e andai subito in boulevard Saint Germain a incontrare Apollinaire: era il giorno dell'armistizio e la città era rumorosa e la gente urlava "A bas Guilliaume! à bas Guilliaume! à bas Guillaume!" (Guilliaume era l'imperatore di Germania). Io vado su; già questo "à bas Guilliaume" mi aveva sconcertato: andavo a vedere Guilliaume Apollinaire. Vado su, entro nella camera, e Apollinaire era disteso sul suo letto, con il viso coperto da un velo nero: era morto, e stava lì, con il quadro che gli aveva dato per le nozze Picasso a capo al letto. Questo è il ricordo che conservo di Apollinaire più terribile, con quei gridi di "à bas Guilliaume!" e quell'uomo magnifico.

ALLEGRIA DI NAUFRAGI
Versa il 14 febraio 1917

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare

MATTINA
Santa Maria La Longa il 26 gennaio 1917

M’illumino
d’immenso 

A volte è un lavoro lungo, a volte è un lavoro che si fa in pochi momenti: poesie brevissime mi richedono sei mesi di lavoro, non sono mai a posto, si seguono con l'orecchio, non si sa poi che cosa sia questo orecchio; perché l'orecchio poi va dietro al significato, va dietro al suono, va dietro a tante cose, non si sa: insomma tutto deve finire col combinare e col dare la sensazione che si è espressa la poesia. No, non si è mai espressa, no: si è sempre scontenti; si vorrebbe che fosse detto diversamente; ma la parola è impotente, la parola non riescirà mai a dare il segreto che è in noi, mai: lo avvicina.

GIROVAGO
Campo di Mailly maggio 1918

[...]

Nascendo
tornato da epoche troppo
vissute

Godere un solo
minuto di vita
iniziale

Cerco un paese
innocente

Se uno ha la libertà di esprimersi, ha tutto il resto.

I FIUMI [scheda]
Cotici il 16 agosto 1916

Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo          5
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna

Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua                      10
e come una reliquia
ho riposato

L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso                     15

Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua                                   20

Mi sono accoccolato
vicino al miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere          25
il sole

Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra                          30
dell’universo

Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia                                  35

Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara                                         40
felicità

Ho ripassato
le epoche
della mia vita

Questi sono                                45
i miei fiumi

Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola             50
e mio padre e mia madre

Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza       55
nelle estese pianure

Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto                   60

Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare                                   65
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre

Nell'Allegria, se lei va in fondo, lei trova immediatamente, cessata la guerra e mutato il mondo, lei troverà delle poesie: "Lucca" o il "Paesaggio", o "Alessandria d'Egitto", delle poesie che sono già di un altro accento.

LUCCA

A casa mia, in Egitto, dopo cena, recitato il rosario, mia madre ci parlava di questi posti.
La mia infanzia ne fu tutta meravigliata.
La città ha un traffico timorato e fanatico.
In queste mura non ci si sta che di passaggio.
Qui la meta è partire.
Mi sono seduto al fresco sulla porta dell’osteria con della gente che mi parla di California come d’un suo podere.
Mi scopro con terrore nei connotati di queste persone.
Ora lo sento scorrere caldo nelle mie vene, il sangue dei miei morti.
Ho preso anch’io una zappa.
Nelle cosce fumanti della terra mi scopro a ridere.
Addio desideri, nostalgie.
So di passato e d’avvenire quanto un uomo può saperne.
Conosco ormai il mio destino, e la mia origine. [...]


SENTIMENTO DEL TEMPO
(1919-1935)

Ungaretti nel 1920 sposa Jeanne Dupoix. Nel 1921 lascia Parigi e va a vivere, con Jeanne, a Roma.

Prima di tutto io prendevo contatto con città italiane, con la civiltà italiana nella sua lunga storia. Non avevo mai trascorso un lungo periodo di vita in una città taliana, e per le circostanze questo lungo periodo di vita, che continuo a trascorrere, l'ho dovuto trascorrere a Roma o nei dintorni di Roma. Quindi io sono per forza di cose, stando a Roma, entrato a dovermi rendere conto di una tradizione millenaria, di cui la mia poesia, pur caricandosi di tanta memoria, doveva rimanere anche innocente.

L' "Isola" è quel paesaggio che si incontra andando da Tivoli verso Subiaco. È curioso: io ho avuto sempre delle manie strane. In quell'anno insieme a mia moglie si andò da Roma a Subiaco a piedi, così per scoprire un po' meglio questo paesaggio laziale, nel 1925.

L’ISOLA
1925

A una proda ove sera era perenne
Di anziane selve assorte, scese,
E s’inoltrò
E lo richiamò rumore di penne
Ch’erasi sciolto dallo stridulo
Batticuore dell’acqua torrida,
E una larva (languiva
E rifioriva) vide; [...]

Le prime poesie del Sentimento sono poesie descrittive, o poesie che danno stati d'animo, sempre in rapporto alle proprie memorie, ai propri ricordi, e in rapporto a questo mondo nuovo che mi circonda, questo mondo che è del Lazio, e che è dei Castelli, e che è di Roma.

C'è la scoperta della memoria: è la scoperta di un enorme fatto umano; è la storia del fatto più grandioso che unisce gli uomini nei secoli.

INNO ALLA MORTE
1925

Amore, mio giovine emblema,
Tornato a dorare la terra,
Diffuso entro il giorno rupestre,
È l’ultima volta che miro
(Appiè del botro, d’irruenti           5
Acque sontuoso, d’antri
Funesto) la scia di luce
Che pari alla tortora lamentosa
Sull’erba svagata si turba.

Amore, salute lucente,                  10
Mi pesano gli anni venturi.

Abbandonata la mazza fedele,
Scivolerò nell’acqua buia
Senza rimpianto.

Morte, arido fiume...

Immemore sorella, morte,
L’uguale mi farai del sogno
Baciandomi.

Avrò il tuo passo,
Andrò senza lasciare impronta.     20

Mi darai il cuore immobile
D’un iddio, sarò innocente,
Non avrò piú pensieri né bontà.

Colla mente murata,
Cogli occhi caduti in oblio,            25
Farò da guida alla felicità.

Riuscire a unire, a fondere il sentimento della giustizia e dell'uguaglianza con il sentimento della libertà, che è poi il sentimento che ci ricongiunge all'insegnamento più profondo del vangelo. E credo che l'adempimento del messaggio di Gesù sia la missione alla quale deve tendere ogni uomo di buona volontà.

SENZA PIÚ PESO
a Ottone Rosai, 1934

Per un Iddio che rida come un bimbo,
Tanti gridi di passeri,
Tante danze nei rami,

Un’anima si fa senza piú peso,
I prati hanno una tale tenerezza, 5
Tale pudore negli occhi rivive,

Le mani come foglie
S’incantano nell’aria...

Chi teme piú, chi giudica?

Certo Dante è più grande; il Petrarca è più sublime e più segreto; ma Jacopone da Todi ha una voce talmente profonda, e che viene dall'umiltà dei cuori, che si rivolge alla sublimità dell'essere, ed è la poesia, insomma, che mi ha toccato di più.

Ungaretti nel 1936 va a vivere con la moglie e i figli Anna Maria e Antonietto, a San Paolo in Brasile. Ritorna a Roma nel 1942.

IL DOLORE (1937-1946)

Sono due i dolori: nel momento di lasciare il Brasile, dove insegnavo all'università di San Paolo, ebbi la grande sciagura di perdere un figlioletto di otto anni. E il dolore è nato da queste due tremende sciagure che mi colpivano: dalla sciagura che colpiva il mio popolo, la mia nazione, che era caduta nelle stoltezze di una guerra bestiale, in tutti i sensi bestiale; e dall'altra parte la morte di quel bambino. Queste due cose, una tanto personale l'altra tanto universale, e universali tutte e due, queste due cose hanno dettato Il Dolore. Il Dolore è stato scritto piangendo: io non ho scritto una parola del Dolore senza prorompere in singhiozzi; io non li potevo trattenere, mi strozzavano, perché non sono un sentimentale, sono un uomo che ha forse forza di sentimento, ma non un sentimentale; non ho potuto trattenere i singhiozzi nello scrivere questa poesia: è nata veramente da due emozioni enormi, enormi, più forti di un uomo, più forti di me.

TU TI SPEZZASTI

2
Alzavi le braccia come ali
E ridavi nascita al vento
Correndo nel peso dell’aria immota.
Nessuno mai vide posare
Il tuo lieve piede di danza.

3
Grazia, felice,
Non avresti potuto non spezzarti
In una cecità tanto indurita
Tu semplice soffio e cristallo, [...]

La mia vita è stata sempre una vita molto dura, e anche perché credo che la vita degli uomini non è ancora una vita di gioia. Ciascuna persona ha le sue gioie, voialtri giovani avete il diritto di averle e dovete pensare soprattutto a essere felici. Ma insomma non è facile vivere una vita di gioia, e io non ho vissuto una vita di gioia: ho vissuto una vita in mezzo alla tragedia, e quindi una vita che aveva da risolversi nella parola in modo drammatico e terribile.

NON GRIDATE PIÚ

Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate piú, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.

Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno piú rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo.

Quando la poesia è poesia, è semplicemente una parola molto amorevole rivolta all'altra persona che l'ascolta per indurlo a sentirsi più umano.

GIORNO PER GIORNO
(Al mio figlioletto perduto)

4
Mai, non saprete mai come m’illumina
L’ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero piú... [...]

7
In cielo cerco il tuo felice volto,
Ed i miei occhi in me null’altro vedano
Quando anch’essi vorrà chiudere Iddio...

La poesia è in quel tentare, in quell'arrivare a superare questo stato di orrenda meccanizzazione, per riavviarsi verso la spontaneità e l'autenticità della persona umana.

MIO FIUME ANCHE TU

1
Mio fiume anche tu, Tevere fatale,
Ora che notte già turbata scorre;
Ora che persistente
E come a stento erotto dalla pietra
Un gemito d’agnelli si propaga
Smarrito per le strade esterrefatte;
Che di male l’attesa senza requie,
Il peggiore dei mali,
Che l’attesa di male imprevedibile
Intralcia animo e passi;
Che singhiozi infiniti, a lungo rantoli
Agghiacciano le case tane incerte;
Ora che scorre notte già straziata,
Che ogni attimo spariscono di schianto
O temono l’offesa tanti segni
Giunti, quasi divine forme, a splendere
Per ascensione di millenni umani;
Ora che già sconvolta scorre notte,
E quanto un uomo può patire imparo;
Ora ora, mentre schiavo
Il mondo d’abissale pena soffoca;
Ora che insopportabile il tormento
Si sfrena tra i fratelli in ira a morte;
Ora che osano dire
Le mie blasfeme labbra:
«Cristo, pensoso palpito,
Perché la Tua bontà
S’è tanto allontanata?»

IL TACCUINO DEL VECCHIO (1952-1960)

Ho fatto il professore, ed è un altro nobile mestiere: ora sono sul punto di abbandonarlo per sempre, ma al contatto dei giovani è certo una delle esperienze più vere che un uomo possa fare, e anche un poeta. L'umanità si conosce meglio nei giovani: i giovani sono sinceri, i giovani non hanno ancora provato troppo la vita, e vi si abbandonano, e quindi si scoprono nella loro autenticità umana.

La poesia che ora leggerò è stata dettata in ricordo di mia moglie, morta in quell'anno, il 1959.

PER SEMPRE
Roma, il 24 Maggio 1959

Senza niuna impazienza sognerò,
Mi piegherò al lavoro
Che non può mai finire,
E a poco a poco in cima
Alle braccia rinate
Si riapriranno mani soccorrevoli,
Nella cavità loro
Riapparsi gli occhi, ridaranno luce,
E, d'improvviso intatta
Sarai risorta, mi farà da guida
Di nuovo la tua voce,
Per sempre ti risento.

[da Vita d'un uomo]

Io sono un uomo che ho sempre da imparare qualche cosa, e vorrei essere ancora un discepolo, un vecchio discepolo, un vecchissimo discepolo della vita.

LA MADRE [scheda]

E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

[da Sentimento del tempo]