25 Avendo Astolfo esercito infinito da non gli far sette Afriche difesa; e rammentando come fu ammonito dal santo vecchio che gli diè l’impresa di tor Provenza e d’Acquamorta il lito di man di Saracin che l’avean presa; d’una gran turba fece nuova eletta, quella ch’al mar gli parve manco inetta.
|
|
26 Ed avendosi piene ambe le palme, quanto potean capir, di varie fronde a lauri, a cedri tolte, a olive, a palme, venne sul mare, e le gittò ne l’onde. Oh felici, e dal ciel ben dilette alme! Grazia che Dio raro a’ mortali infonde! Oh stupendo miracolo che nacque di quelle frondi, come fur ne l’acque!
|
|
27 Crebbero in quantità fuor d’ogni stima; si feron curve e grosse e lunghe e gravi; le vene ch’attraverso aveano prima, mutaro in dure spranghe e in grosse travi: e rimanendo acute inver la cima, tutte in un tratto diventaro navi di differenti qualitadi, e tante, quante raccolte fur da varie piante.
|
|
28 Miracol fu veder le fronde sparte produr fuste, galee, navi da gabbia. Fu mirabile ancor, che vele e sarte e remi avean, quanto alcun legno n’abbia. Non mancò al duca poi chi avesse l’arte di governarsi alla ventosa rabbia; che di Sardi e di Corsi non remoti, nocchier, padron, pennesi ebbe e piloti.
|
|
29 Quelli che entraro in mar, contati foro ventiseimila, e gente d’ogni sorte. Dudon andò per capitano loro, cavallier saggio, e in terra e in acqua forte. Stava l’armata ancora al lito moro, miglior vento aspettando, che la porte, quando un navilio giunse a quella riva, che di presi guerrier carco veniva.
|
|
30 Portava quei ch’al periglioso ponte, ove alla giostre il campo era sì stretto, pigliato avea l’audace Rodomonte, come più volte io v’ho di sopra detto. Il cognato tra questi era del conte, e ‘l fedel Brandimarte e Sansonetto, ed altri ancor, che dir non mi bisogna, d’Alemagna, d’Italia e di Guascogna.
|
|
31 Quivi il nocchier, ch’ancor non s’era accorto degli inimici, entrò con la galea, lasciando molte miglia a dietro il porto d’Algieri, ove calar prima volea, per un vento gagliardo ch’era sorto, e spinto oltre il dover la poppa avea. Venir tra i suoi credette e in loco fido, come vien Progne al suo loquace nido.
|
|
32 Ma come poi l’imperiale augello, i gigli d’oro e i pardi vide appresso, restò pallido in faccia, come quello che ‘l piede incauto d’improviso ha messo sopra il serpente venenoso e fello, dal pigro sonno in mezzo l’erbe oppresso; che spaventato e smorto si ritira, fuggendo quel, ch’è pien di tosco e d’ira.
|
|
33 Già non poté fuggir quindi il nocchiero, né tener seppe i prigion suoi di piatto. Con Brandimarte fu, con Oliviero, con Sansonetto e con molti altri tratto ove dal duca e dal figliuol d’Uggiero fu lieto viso agli suo’ amici fatto; e per mercede lui che li condusse, volson che condannato al remo fusse.
|
|
34 Come io vi dico, dal figliuol d’Otone i cavallier cristian furon ben visti, e di mensa onorati al padiglione, d’arme e di ciò che bisognò provisti. Per amor d’essi differì Dudone l’andata sua; che non minori acquisti di ragionar con tai baroni estima, che d’esser gito uno o duo giorni prima.
|
|
35 In che stato, in che termine si trove e Francia e Carlo, istruzion vera ebbe; e dove più sicuramente, e dove, per far miglior effetto, calar debbe. Mentre da lor venìa intendendo nuove, s’udì un rumor che tuttavia più crebbe; e un dar all’arme ne seguì sì fiero, che fece a tutti far più d’un pensiero.
|
|
36 Il duca Astolfo e la compagnia bella, che ragionando insieme si trovaro, in un momento armati furo e in sella, e verso il maggior grido in fretta andaro, di qua di là cercando pur novella di quel romore; e in loco capitaro, ove videro un uom tanto feroce, che nudo e solo a tutto ‘l campo nuoce.
|
|
37 Menava un suo baston di legno in volta, che era sì duro e sì grave e sì fermo, che declinando quel, facea ogni volta cader in terra un uom peggio ch’infermo. Già a più di cento avea la vita tolta; né più se gli facea riparo o schermo, se non tirando di lontan saette: d’appresso non è alcun già che l’aspette.
|
|
38 Dudone, Astolfo, Brandimarte, essendo corsi in fretta al romore, ed Oliviero, de la gran forza e del valor stupendo stavan maravigliosi di quel fiero; quando venir s’un palafren correndo videro una donzella in vestir nero, che corse a Brandimarte e salutollo, e gli alzò a un tempo ambe le braccia al collo.
|
|
39 Questa era Fiordiligi, che sì acceso avea d’amor per Brandimarte il core, che quando al ponte stretto il lasciò preso, vicina ad impazzar fu di dolore. Di là dal mare era passata, inteso avendo dal pagan che ne fu autore, che mandato con molti cavallieri era prigion ne la città d’Algieri.
|
|
40 Quando fu per passare, avea trovato a Marsilia una nave di Levante, ch’un vecchio cavalliero avea portato de la famiglia del re Monodante; il qual molte province avea cercato, quando per mar, quando per terra errante, per trovar Brandimarte; che nuova ebbe tra via di lui, ch’in Francia il troverebbe.
|
|
41 Ed ella, conosciuto che Bardino era costui, Bardino che rapito al padre Brandimarte piccolino, ed a Rocca Silvana avea notrito, e la cagione intesa del camino, seco fatto l’avea scioglier dal lito, avendogli narrato in che maniera Brandimarte passato in Africa era.
|
|
42 Tosto che furo a terra, udir le nuove, ch’assediata d’Astolfo era Biserta: che seco Brandimarte si ritrove udito avean, ma non per cosa certa. Or Fiordiligi in tal fretta si muove, come lo vede, che ben mostra aperta quella allegrezza ch’i precessi guai le fero la maggior ch’avesse mai.
|
|
43 Il gentil cavallier, non men giocondo di veder la diletta e fida moglie ch’amava più che cosa altra del mondo, l’abraccia e stringe e dolcemente accoglie: né per saziare al primo né al secondo né al terzo bacio era l’accese voglie; se non ch’alzando gli occhi ebbe veduto Bardin che con la donna era venuto.
|
|
44 Stese le mani, ed abbracciar lo volle, e insieme domandar perché venìa; ma di poterlo far tempo gli tolle il campo ch’in disordine fuggia dinanzi a quel baston che ‘l nudo folle menava intorno, e gli facea dar via. Fiordiligi mirò quel nudo in fronte, e gridò a Brandimarte: - Eccovi il conte! -
|
|
45 Astolfo tutto a un tempo, ch’era quivi, che questo Orlando fosse, ebbe palese per alcun segno che dai vecchi divi su nel terrestre paradiso intese. Altrimente restavan tutti privi di cognizion di quel signor cortese; che per lungo sprezzarsi, come stolto, avea di fera, più che d’uomo, il volto.
|
|
46 Astolfo per pietà che gli traffisse il petto e il cor, si volse lacrimando; ed a Dudon (che gli era appresso) disse, ed indi ad Oliviero: - Eccovi Orlando! - Quei gli occhi alquanto e le palpèbre fisse tenendo in lui, l’andar raffigurando; e ‘l ritrovarlo in tal calamitade, gli empì di meraviglie e di pietade.
|
|
47 Piangeano quei signor per la più parte: sì lor ne dolse, e lor ne ‘ncrebbe tanto. - Tempo è (lor disse Astolfo) trovar arte di risanarlo, e non di fargli il pianto. - E saltò a piedi, e così Brandimarte, Sansonetto, Oliviero e Dudon santo; e s’aventaro al nipote di Carlo tutti in un tempo; che volean pigliarlo.
|
|
48 Orlando che si vide fare il cerchio, menò il baston da disperato e folle; ed a Dudon che si facea coperchio al capo de lo scudo ed entrar volle, fe’ sentir ch’era grave di soperchio: e se non che Olivier col brando tolle parte del colpo, avria il bastone ingiusto rotto lo scudo, l’elmo, il capo e il busto.
|
|
49 Lo scudo roppe solo, e su l’elmetto tempestò sì, che Dudon cadde in terra. Menò la spada a un tempo Sansonetto; e del baston più di duo braccia afferra con valor tal, che tutto il taglia netto. Brandimarte ch’addosso se gli serra, gli cinge i fianchi, quanto può, con ambe le braccia, e Astolfo il piglia ne le gambe.
|
|
50 Scuotesi Orlando, e lungi dieci passi da sé l’Inglese fe’ cader riverso: non fa però che Brandimarte il lassi, che con più forza l’ha preso a traverso. Ad Olivier che troppo inanzi fassi, menò un pugno sì duro e sì perverso, che lo fe’ cader pallido ed esangue, e dal naso e dagli occhi uscirgli il sangue.
|
|
51 E se non era l’elmo più che buono, ch’avea Olivier, l’avria quel pugno ucciso: cadde però, come se fatto dono avesse de lo spirto al paradiso. Dudone e Astolfo che levati sono, ben che Dudone abbia gonfiato il viso, e Sansonetto che ‘l bel colpo ha fatto, adosso a Orlando son tutti in un tratto.
|
|
52 Dudon con gran vigor dietro l’abbraccia, pur tentando col piè farlo cadere: Astolfo e gli altri gli han prese le braccia, né lo puon tutti insieme anco tenere. C’ha visto toro a cui si dia la caccia, e ch’alle orecchie abbia le zanne fiere, correr mugliando, e trarre ovunque corre i cani seco, e non potersi sciorre;
|
|
53 imagini ch’Orlando fosse tale, che tutti quei guerrier seco traea. In quel tempo Olivier di terra sale, là dove steso il gran pugno l’avea; e visto che così si potea male far di lui quel ch’Astolfo far volea, si pensò un modo, ed ad effetto il messe, di far cader Orlando, e gli successe.
|
|
54 Si fe’ quivi arrecar più d’una fune, e con nodi correnti adattò presto; ed alle gambe ed alle braccia alcune fe’ porre al conte, ed a traverso il resto. Di quelle i capi poi partì in commune, e li diede a tenere a quello e a questo. Per quella via che maniscalco atterra cavallo o bue, fu tratto Orlando in terra.
|
|
55 Come egli è in terra, gli son tutti adosso, e gli legan più forte e piedi e mani. Assai di qua di là s’è Orlando scosso, ma sono i suoi risforzi tutti vani. Commanda Astolfo che sia quindi mosso, che dice voler far che si risani. Dudon ch’è grande, il leva in su le schene, e porta al mar sopra l’estreme arene.
|
|
56 Lo fa lavar Astolfo sette volte; e sette volte sotto acqua l’attuffa; sì che dal viso e da le membra stolte leva la brutta rugine e la muffa: poi con certe erbe, a questo effetto colte, la bocca chiuder fa, che soffia e buffa; che non volea ch’avesse altro meato onde spirar, che per lo naso, il fiato.
|
|
57 Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso in che il senno d’Orlando era rinchiuso; e quello in modo appropinquogli al naso, che nel tirar che fece il fiato in suso, tutto il votò: maraviglioso caso! che ritornò la mente al primier uso; e ne’ suoi bei discorsi l’intelletto rivenne, più che mai lucido e netto.
|
|
58 Come chi da noioso e grave sonno, ove o vedere abominevol forme di mostri che non son, né ch’esser ponno, o gli par cosa far strana ed enorme, ancor si maraviglia, poi che donno è fatto de’ suoi sensi, e che non dorme; così, poi che fu Orlando d’error tratto, restò maraviglioso e stupefatto.
|
|
59 E Brandimarte, e il fratel d’Aldabella, e quel che ‘l senno in capo gli ridusse, pur pensando riguarda, e non favella, come egli quivi e quando si condusse. Girava gli occhi in questa parte e in quella, né sapea imaginar dove si fusse. Si maraviglia che nudo si vede, e tante funi ha da le spalle al piede.
|
|
60 Poi disse, come già disse Sileno a quei che lo legar nel cavo speco: Solvite me, con viso sì sereno, con guardo sì men de l’usato bieco, che fu slegato; e de’ panni ch’avieno fatti arrecar participaron seco, consolandolo tutti del dolore, che lo premea, di quel passato errore.
|
|
61 Poi che fu all’esser primo ritornato Orlando più che mai saggio e virile, d’amor si trovò insieme liberato; sì che colei, che sì bella e gentile gli parve dianzi, e ch’avea tanto amato, non stima più se non per cosa vile. Ogni suo studio, ogni disio rivolse a racquistar quanto già amor gli tolse.
|
|