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Jakobson, I poli metaforico e metonimico

Jakobson: metonimia, metafora e comunicazione

Principi di contiguità (sintagmatico) e di similarità (paradigmatico)

 

Roman Jakobson (1896-1982)
da “Due aspetti del linguaggio e due tipi di afasia”
(1963), in Saggi di linguistica generale, pp. 39-45

 

5. I poli metaforico e metonimico

[...] Lo sviluppo di un discorso può aver luogo secondo due differenti direttrici semantiche: un tema conduce ad un altro sia per similarità sia per contiguità. La denominazione più appropriata per il primo caso sarebbe direttrice metaforica, per il secondo direttrice metonimica, poiché essi trovano la loro espressione più sintetica rispettivamente nella metafora e nella metonimia. [...] Nel comportamento verbale normale ambedue operano senza discontinuità, ma un’attenta osservazione rivelerà che, sotto l’influsso di un modello culturale, della personalità e dello stile, viene preferito ora l’uno ora l’altro processo.

In un test psicologico assai noto, viene presentato ad alcuni fanciulli qualche nome e viene chiesto loro di manifestare le prime reazioni verbali che vengono loro in mente. In questo esperimento si rivelano invariabilmente due preferenze linguistiche opposte: la risposta è intesa o come un sostituto, o come un complemento dello stimolo. Nel secondo caso stimolo e risposta formano insieme una costruzione sintattica particolare, per lo più una frase. Questi due tipi di reazione sono stati designati con i termini: sostitutivo e predicativo.

Una risposta allo stimolo capanna fu: bruciata; un’altra: è una povera casetta. Le due reazioni sono predicative; ma la prima crea un contesto semplicemente narrativo, mentre nella seconda c’è un doppio collegamento col soggetto capanna: da una parte una contiguità di posizione (cioè sintattica), dall’altra una similarità semantica.

Lo stesso stimolo determinò anche le seguenti reazioni sostitutive: la tautologia capanna; i sinonimi casupola e tugurio; l’antonimo palazzo e le metafore spelonca e tana. La capacità che hanno due parole di prendere l’una il posto dell’altra è un esempio di similarità di posizione e, inoltre, tutte queste risposte sono collegate allo stimolo per similarità (o opposizione) semantica. Le risposte metonimiche allo stesso stimolo come tetto, coperto di paglia, paglia, o povertà, combinano e contrastano la similarità di posizione con la contiguità semantica.

Quando un individuo si serve di questi due tipi di connessione (similarità e contiguità) nei loro due aspetti (di posizione e semantico) – per selezione, combinazione e ordinamento – egli rivela il suo stile personale, i suoi gusti e le sue preferenze verbali. Nell’arte del linguaggio l’interazione di questi due elementi è marcata in modo particolare. Possiamo trovare abbondante materiale per lo studio di questa relazione nelle forme di versificazione nelle quali il parallelismo fra versi successivi è obbligatorio, come per esempio nella poesia biblica o nella tradizione orale della Finlandia occidentale e, in certa misura, della Russia. Tutto ciò ci offre un criterio obiettivo per valutare quanto, in una data comunità linguistica, vale come corrispondenza. Poiché ad ogni livello verbale: morfologico, lessicale, sintattico e fraseologico, può comparire l’una o l’altra di queste due relazioni (similarità e contiguità), e ciascuna nell’uno o nell’altro dei suoi due aspetti, viene a crearsi una gamma variatissima di possibili configurazioni nel prevalere dell’uno o dell’altro dei due poli gravitazionali; nei canti lirici russi, per esempio, predominano le costruzioni metaforiche, nell’epopea eroica invece è predominante il procedimento metonimico.

Nella poesia varie ragioni possono determinare la scelta fra le due alternative. Il primato del processo metaforico nelle scuole romantiche e simboliste è stato sottolineato più volte, ma non si è ancora compreso abbastanza chiaramente che il predominio della metonimia governa e definisce effettivamente la corrente letteraria cosiddetta “realistica” che appartiene ad un periodo intermedio fra il declino del romanticismo e il sorgere del simbolismo, pur essendo opposta ad ambedue. Seguendo la via delle relazioni di contiguità, l’autore realista opera digressioni metonimiche dall’intreccio all’atmosfera e dai personaggi alla cornice spazio-temporale. Egli si compiace di sineddochi. Nella scena del suicidio di Anna Karenina, l’attenzione artistica di Tolstoj è incentrata sulla borsetta dell’eroina; e in Guerra e pace i casi di sineddoche come “peluria sul labbro superiore” o “spalle nude” sono usati dallo stesso autore per caratterizzare i personaggi femminili ai quali appartengono questi tratti.

La prevalenza alternante dell’uno o dell’altro di questi due procedimenti non è affatto un fenomeno esclusivo dell’arte letteraria: la stessa oscillazione appare nei sistemi di segni diversi dal linguaggio. Un esempio significativo tratto dalla storia della pittura è costituito dall’orientamento evidentemente metonimico del cubismo che trasforma l’oggetto in una serie di sineddochi; i pittori surrealisti hanno reagito con una concezione chiaramente metaforica. Dalle produzioni di D.W. Griffith in poi, il cinematografo, con la sua sviluppatissima possibilità di variare l’angolo, la prospettiva e il centro delle inquadrature, si è distaccato dalla tradizione del teatro e ha usato una gamma senza precedenti di primi piani sineddochici e di montaggi metonimici in generale. In pellicole come quelle di Charlie Chaplin questi procedimenti sono stati soppiantati da un nuovo tipo metaforico di montaggio, con le sue “dissolvenze graduali”, autentiche similitudini filmiche.

[...] La dicotomia studiata qui appare di un significato e di una portata fondamentali per comprendere pienamente il comportamento verbale e il comportamento umano in generale.

Per documentare le possibilità dischiuse dalla ricerca comparativa di cui si è detto, sceglieremo un esempio tratto da un racconto popolare russo che usa il parallelismo come espediente comico: “X è scapolo; Y è non sposato”(Fomá xólost; Erjóma nezenát). Qui i predicati nelle due proposizioni parallele sono associati per similarità: sono infatti sinonimi. I soggetti delle due proposizioni sono nomi propri maschili e, quindi, morfologicamente simili, mentre d’altra parte essi designano due protagonisti vicini dello stesso racconto, creati per compiere azioni identiche e giustificare così l’uso di coppie sinonimiche di predicati. Una versione un po’ modificata dello stesso costrutto ricorre in un noto canto nuziale, nel quale ciascun invitato al matrimonio è interpellato, volta a volta, col suo nome e col suo patronimico: “Gleb è uno scapolo; Ivanovič è non sposato”. Mentre i due predicati sono anche qui sinonimi, il rapporto fra i due soggetti è cambiato: ambedue sono nomi propri indicanti lo stesso uomo e sono normalmente usati in successione immediata come formula di indirizzo cortese.

Nella citazione dal racconto popolare, le due proposizioni parallele si riferiscono a due fatti distinti: la condizione maritale di Fomà e quella simile di Erjoma. Invece nel verso del canto di nozze, le due proposizioni sono sinonime: esse riconfermano, in maniera ridondante, il celibato dello stesso protagonista scindendolo in due ipostasi linguistiche.

Il romanziere russo Gleb Ivanovič Uspenskij (1840-1902), negli ultimi anni della sua vita soffrì di una malattia mentale accompagnata da disturbi della parola. Il suo nome e il suo patronimico, Gleb Ivanovič, tradizionalmente accoppiati nella conversazione cortese, si erano scissi ai suoi occhi in due nomi distinti indicanti due esseri separati: Gleb era adorno di tutte le sue virtù, mentre Ivanovič, il nome che collegava il figlio al padre, diventava l’incarnazione di tutti i vizi di Uspenskij. L’aspetto linguistico di questo sdoppiamento della personalità consiste nell’incapacità del malato di servirsi di due simboli per la stessa cosa ed è, quindi, un disturbo della similarità. Poiché esso è legato alla tendenza alla metonimia, assume particolare interesse esaminare lo stile letterario di Uspenskij nella fase giovanile. Lo studio di Anatolij Kamegulov, che ha analizzato lo stile di Uspenskij, conferma la nostra ipotesi teorica. Egli dimostra che Uspenskij aveva un’inclinazione particolare per la metonimia, specialmente per la sineddoche, accentuata a tal punto che “il lettore è schiacciato dalla molteplicità dei dettagli riversati su di lui in uno spazio verbale limitato, e si trova fisicamente incapace di afferrare il tutto, tanto che l’immagine è spesso perduta”.

Senza dubbio lo stile metonimico di Uspenskij è evidentemente ispirato dal canone letterario predominante al tempo suo: il “realismo” della fine del XIX secolo; ma il temperamento innato di Gleb Ivanovič lo faceva propendere, in modo particolare, verso questa corrente artistica nelle sue manifestazioni estreme, fino a riflettersi sull’aspetto verbale della sua malattia mentale.

La concorrenza fra i procedimenti metonimico e metaforico è evidente in ogni processo simbolico, sia intrasubiettivo, sia sociale. Così in uno studio sulla struttura dei sogni, il problema fondamentale è quello di sapere se i simboli e le sequenze temporali utilizzate sono fondati sulla contiguità (“spostamento” metonimico e “condensazione” sineddochica di Freud) o sulla similarità (“identificazione” e “simbolismo” di Freud). I princìpi che stanno alla base dei riti magici sono stati ricondotti da Frazer a due tipi: incantesimi che si fondano sulla legge di similarità e quelli basati sull’associazione per contiguità. Il primo di questi due importanti rami della magia simpatetica è stato chiamato “omeopatico” o “imitativo” e il secondo “magia per contagio”.  Questa bipartizione è invero molto significativa. Tuttavia per lo più si continua a trascurare il problema dei due poli malgrado la sua immensa portata e importanza per lo studio di tutti i comportamenti simbolici e in particolare del comportamento verbale e dei suoi disturbi. Qual è la principale ragione di questa negligenza?

La similarità dei significati collega i simboli di un metalinguaggio ai simboli del linguaggio al quale questo si riferisce. La similarità collega un termine metaforico al termine cui si sostituisce. Di conseguenza, quando il ricercatore costruisce un metalinguaggio per interpretare dei tropi, egli possiede mezzi più omogenei per trattare la metafora mentre la metonimia, basata su un principio diverso, sfugge facilmente all’interpretazione. Perciò niente di paragonabile ai numerosi scritti sulla metafora può essere citato per quanto concerne la teoria della metonimia. Per la stessa ragione, se in generale sono stati intuiti gli stretti legami che uniscono intimamente il romanticismo alla metafora, è stata per lo più ignorata l’affinità profonda che congiunge il realismo alla metonimia. Non solo lo strumento dell’analisi, ma anche l’oggetto dell’osservazione spiegano la preponderanza della metafora sulla metonimia nelle ricerche scientifiche. Poiché la poesia si concentra sul segno e la prosa, pragmatica, soprattutto sul referente, i tropi e le figure sono stati studiati essenzialmente come procedimenti poetici.

Il principio di similarità sta alla base della poesia; il parallelismo metrico dei versi e l’equivalenza fonica delle rime impongono il problema della similarità e del contrasto semantici. Esistono, per esempio, rime grammaticali e antigrammaticali, mai rime agrammaticali. La prosa, invece, procede essenzialmente per rapporti di contiguità. E così la metafora per la poesia e la metonimia per la prosa costituiscono il punto di minor resistenza, e questo spiega come le ricerche sui tropi poetici siano orientate essenzialmente verso la metafora. [...]