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Tommaso, La guerra giusta

Tommaso: sembra che fare la guerra sia sempre peccato

Un ragionamento serrato sulla guerra giusta

 

Tommaso d’Aquino (1225-1274)
dalla Summa Theologiae, II-II, 40

 

Della Somma teologica di Tommaso, grande teologo do­menicano, morto nel 1274, si presenta la questione 40 della secunda secundae, che affronta tutta l’ampia problematica della guerra. Traduzione di T. Centi, Firenze 1966, V. XVI, pp. 100-113.

 

QUESTIONE 40

La guerra

Passiamo così a considerare la guerra.

Sull'argomento si pongono quattro quesiti: 1. Se ci sia una guerra lecita; 2. Se ai chierici sia lecito combattere; 3. Se sia lecito ai belligeranti usare imboscate; 4. Se sia lecito combattere nei giorni festivi.


ARTICOLO 1

Se fare la guerra sia sempre peccato

SEMBRA che fare la guerra sia sempre peccato. Infatti:

  1. Il castigo è inflitto solo per un peccato. Ora, il Signore mi­naccia un castigo a chi combatte: «Tutti coloro che prenderanno la spada periranno di spada». Dunque qualsiasi guerra è illecita.
  2. Quanto si oppone ai precetti di Dio è peccato. Ma combattere è contrario al precetto di Dio; poiché sta scritto: «Io invece vi dico di non fare resistenza al malvagio»; e altrove: «Non ven­dicatevi da voi stessi, o carissimi, ma date luogo all'ira». Perciò far guerra è sempre peccato.
  3. Niente all'infuori del peccato è incompatibile con una virtù. Ma la guerra è incompatibile con la pace. Dunque la guerra è sempre peccato.
  4. L'esercitarsi in qualsiasi cosa lecita è sempre lecito: il che è evidente nelle esercitazioni scientifiche. Invece gli esercizi bel­lici, che si fanno nei tornei, sono proibiti dalla chiesa: poiché chi muore in codesti esercizi viene privato della sepoltura ecclesiastica. Quindi la guerra è peccato in senso assoluto.

IN CONTRARIO: Scrive s. Agostino: «Se la religione cristiana condannasse totalmente le guerre, nel Vangelo, ai soldati che chie­devano un consiglio di salvezza, si sarebbe dato quello di abban­donare le armi, e di fuggire la milizia. Invece fu loro detto: `Non fate violenze a nessuno; contentatevi della vostra paga'. Perciò non viene proibito il mestiere del soldato a coloro cui viene comandato di contentarsi della paga».

RISPONDO: Perché una guerra sia giusta si richiedono tre cose. Primo, l'autorità del principe, per ordine del quale deve essere proclamata. Infatti una persona privata non ha il potere di fare la guerra: poiché essa può difendere il proprio diritto ricorrendo al giudizio del suo superiore. E anche perché non appartiene ad una persona privata raccogliere la moltitudine, cosa che è indi­spensabile nelle guerre. E siccome la cura della cosa pubblica è riservata ai principi, spetta ad essi difendere lo stato della città, del regno o della provincia cui presiedono. E come lo difendono lecitamente con la spada contro i perturbatori interni, col punire i malfattori, secondo le parole dell'apostolo: «Non porta la spada inutilmente: ché è ministro di Dio e vindice nell'ira divina per chi fa il male»; così spetta ad essi difendere lo stato dai nemici esterni con la spada di guerra. Ecco perché ai principi vien detto nei Salmi: «Salvate il poverello, e il mendico dalle mani dell'em­pio liberate». E s. Agostino scrive: «L'ordine naturale, indicato per la pace dei mortali, esige che risieda presso i principi l'auto­rità e la deliberazione di ricorrere alla guerra».

Secondo, si richiede una causa giusta: e cioè una colpa da parte di coloro contro cui si fa la guerra. Scrive perciò s. Agostino: «Si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiu­stizie: e cioè nel caso che si tratti di debellare un popolo, o una città, che han trascurato di punire le malefatte dei loro sudditi, o di rendere ciò che era stato tolto ingiustamente».

Terzo, si richiede che l'intenzione di chi combatte sia retta: e cioè che si miri a promuovere il bene e ad evitare il male. Ecco perciò quanto scrive s. Agostino: «Presso i vari adoratori di Dio son pacifiche anche le guerre, le quali non si fanno per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i mal-

vagi e per soccorrere i buoni». Infatti può capitare che, pur es­sendo giusta la causa e legittima l'autorità di chi dichiara la guerra, tuttavia la guerra sia resa illecita da una cattiva inten­zione. Dice perciò s. Agostino: «La brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere sono giustamente riprovate nella guerra».

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come dice s. Agostino:

«prende la spada colui che si arma contro il sangue di qualcuno, senza il comando o il permesso di nessun potere legittimo e supe­riore». Chi invece usa la spada con l'autorità del principe o del giudice, se è una persona privata, oppure per zelo della giustizia, e quindi con l'autorità di Dio, se è una persona pubblica, non prende da se stesso la spada, ma ne usa per incarico di altri. E quindi, non merita una pena. — Tuttavia anche quelli che usano la spada in modo peccaminoso non sempre sono uccisi di spada. Essi però periscono sempre con la loro spada; perché se non si pentono sono puniti del peccato di spada per tutta l'eternità.

  1. Come nota s. Agostino, tali precetti devono essere osservati sempre con le disposizioni interne: in modo cioè, che uno sia sem­pre disposto a non resistere, o a non difendersi, quando ciò fosse doveroso. Ma talora bisogna agire diversamente per il bene co­mune, e per il bene stesso di quelli contro cui si combatte. S. Ago­stino infatti scriveva: «Spesso bisogna adoperarsi non poco presso gli avversari per piegarli con benevola asprezza. Infatti per colui al quale viene tolta la libertà di peccare è un bene essere sconfitto: poiché niente è più infelice della felicità di chi pecca, la quale accresce un'iniquità degna di pena, mentre la cattiva volontà si raf­forza come un nemico domestico».
  2. Quelli che fanno delle guerre giuste hanno di mira la pace. Perciò essi sono contrari solo alla pace cattiva, che il Signore «non è venuto a portare sulla terra», come dice il Vangelo. Scriveva s. Agostino a Bonifacio: «Non si cerca la pace per fare la guerra; ma si fa la guerra per avere la pace. Sii dunque pacifico nel guer­reggiare, per indurre con la vittoria al bene della pace coloro che devi combattere».

Gli esercizi di guerra non sono proibiti tutti, ma solo quelli disordinati e pericolosi, che portano ad uccidere e a depredare. Invece presso gli antichi le esercitazioni di guerra erano scevre di codesti pericoli: perciò esse venivano chiamate «preparazioni di armi», oppure «guerre incruente», come risulta da una lettera di san Girolamo.


ARTICOLO 2

Se ai chierici e ai vescovi sia lecito combattere

SEMBRA che ai chierici ed ai vescovi sia lecito combattere. Infatti:

  1. Le guerre, come abbiamo detto, in tanto sono lecite e giuste, in quanto difendono i poveri e tutto lo stato dai soprusi dei nemici. Ma questo sembra essere compito speciale dei prelati, come dice san Gregorio in un'omelia: «Le pecore sono visitate dal lupo, quando un iniquo e un rapinatore qualsiasi opprime alcuni dei fedeli e degli umili. Ma colui che sembrava pastore, e non lo era, abbandona le pecore e fugge: perché temendone un pericolo per sé, non osa resistere alla sua ingiustizia». Dunque ai prelati e ai chierici è lecito combattere.
  2. Il papa Leone [IV] scriveva: «Arrivando spesso dalle parti dei saraceni notizie allarmanti, alcuni affermavano che i saraceni sarebbero sbarcati di nascosto al porto di Roma, per questo comandammo di adunare il nostro popolo, e di scendere sul lido del mare». Perciò ai vescovi è lecito partecipare alle guerre.
  3. Ha lo stesso valore morale fare una cosa e approvare chi la fa; poiché sta scritto: «È degno di morte non solo chi fa tali cose, ma anche chi approva quelli che le fanno». Ora, la massima ap­provazione consiste nell'indurre gli altri a farle. Ma ai vescovi e ai chierici è lecito indurre gli altri a combattere, poiché si legge nei canoni che, «dietro le esortazioni e le preghiere di Adriano, vescovo della città di Roma, Carlo intraprese la guerra contro i longobardi». Dunque ad essi è lecito combattere.
  4. Ciò che in se stesso è onesto e meritorio non può essere ille­cito ai prelati e ai chierici. Ora, combattere può essere onesto e meritorio: nei canoni infatti si legge, che «se uno muore per la salvezza della patria e per la difesa dei cristiani avrà da Dio il premio celeste». Perciò ai vescovi e ai chierici è lecito combattere.

IN CONTRARIO: A Pietro, che rappresentava i vescovi e i chie­rici, il Signore disse: «Riponi la tua spada nel fodero». Dunque ad essi non è lecito combattere.

RISPONDO: Il bene dell'umana società richiede molte cose. Ora, mansioni diverse sono esercitate meglio e più agevolmente da per­sone diverse che da una sola, come spiega il filosofo nella sua Politica. E alcune mansioni sono così incompatibili fra loro, da non potersi esercitare come si conviene simultaneamente. Perciò a coloro che sono incaricati di quelle più alte vengono proibite le mansioni più umili: secondo le leggi umane, p. es., ai soldati, che sono destinati agli esercizi guerreschi, viene proibita la mer­catura. Ma gli esercizi guerreschi per due motivi sono quanto mai incompatibili con gli uffici dei vescovi e dei chierici. Primo, per un motivo generale: perché gli esercizi guerreschi implicano gra­vissimi turbamenti; e quindi distolgono troppo l'animo dalla con­templazione delle cose divine, dalla lode di Dio e dalla preghiera per il popolo, che sono uffici propri dei chierici. Perciò, come è proibita ai chierici la mercatura, perché assorbe troppo l'animo, così è loro interdetto l'esercizio delle armi, in base all'ammo­nimento di s. Paolo: «Nessuno che militi per Dio s'immischia nei negozi del secolo».

Secondo, per un motivo speciale. Tutti gli ordini sacri infatti sono ordinati al servizio dell'altare, in cui si rappresenta sacra-mentalmente la passione di Cristo, come dice s. Paolo: «Quante volte voi mangiate questo pane e bevete questo calice, voi ram­menterete l'annunzio della morte del Signore, fino a che egli venga». Perciò ai chierici non si addice uccidere, o spargere san­gue; ma essere pronti piuttosto a spargere il proprio sangue per Cristo, onde imitare con i fatti ciò che compiono nel sacro mini­stero. Ecco perché fu stabilito che coloro i quali, anche senza peccato, spargono il sangue contraggano irregolarità. Ora, a chiun­que abbia un ufficio è illecito ciò che lo rende incapace di eserci­tarlo. Perciò ai chierici è assolutamente illecito prender parte alla guerra, che è ordinata allo spargimento del sangue.

SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I prelati devono resistere

non soltanto ai lupi che uccidono il gregge spiritualmente, ma anche ai rapinatori e ai tiranni che l'opprimono materialmente: però non con le armi materiali usandone personalmente, ma con quelle spirituali, secondo le parole dell'apostolo: «Le armi della nostra milizia non sono carnali, ma spirituali». Esse cioè consistono in salutari ammonizioni, devote preghiere, e, contro gli ostinati, in sentenze di scomunica.

  1. I prelati e i chierici possono partecipare alle guerre, col per-messo dei superiori, non per combattere con le proprie mani, ma per assistere spiritualmente con le esortazioni, le assoluzioni e altri soccorsi spirituali i combattenti. Del resto anche nell'antica legge era prescritto che i sacerdoti nella battaglia suonassero le trombe. E per questo fu concesso originariamente ai vescovi e ai chierici di prendere parte alla guerra. Il fatto che poi alcuni combattano personalmente è un abuso.
  2. Come già si disse, qualsiasi potenza, arte, o virtù che abbia per oggetto il fine, deve regolare i mezzi ad esso ordinati. Ora, le guerre nel popolo cristiano devono avere come fine il bene spi­rituale e divino al quale i chierici sono deputati. Perciò spetta ai chierici disporre ed esortare gli altri a combattere le guerre giuste. Infatti è loro proibito di combattere, non perché è peccato; ma perché codesta funzione non si addice alla loro persona.

    4. Sebbene combattere una guerra giusta sia meritorio; non è permesso ai chierici perché essi sono incaricati di opere ancora più meritorie. L'atto del matrimonio, p. es., può essere meritorio, e tuttavia esso è riprovevole in coloro che hanno fatto voto di verginità, dato che essi si sono obbligati a un bene maggiore.


ARTICOLO 3

Se nelle guerre si possono usare le imboscate

Sembra che nelle guerre non si possano usare imboscate. Infatti:

  1. Nel Deuteronomio si legge: «Tu compirai con giustizia ciò che è giusto». Ma le imboscate, essendo delle frodi, sembra che appartengano all'ingiustizia. Perciò nelle guerre, anche se giuste, non si devono usare imboscate.
  2. Imboscate e frodi si contrappongono, come le bugie, alla fedeltà. Ora, siccome siamo tenuti a non mancare di fedeltà a nessuno, non dobbiamo dir bugie a nessuno, come insegna s. Ago­stino. E poiché, a detta dello stesso santo, anche «ai nemici si deve fedeltà», sembra che non si debbano usare imboscate contro i nemici.
  3. Sta scritto: «Fate agli altri tutto ciò che volete che gli altri facciano a voi»; e questo si deve osservare verso tutti i prossimi. Ora, anche i nemici sono i nostri prossimi. Perciò, siccome nes­suno desidera che gli si prepari un'imboscata, o un inganno, è chiaro che nessuno deve fare la guerra ricorrendo alle imboscate.

IN CONTRARIO: S. Agostino afferma: «Quando s'intraprende una guerra giusta, non interessa nulla per la giustizia, che uno com­batta apertamente o con imboscate». E lo dimostra con l'autorità del Signore, il quale comandò a Giosuè di preparare un'imboscata agli abitanti di Ai.

RISPONDO: Un'imboscata è ordinata ad ingannare i nemici. Ora, uno può essere ingannato dal comportamento delle parole di un altro in due maniere. Primo, per il fatto che gli viene detto il falso, oppure si manca alla promessa. E questo è sempre illecito. Quindi nessuno deve ingannare i nemici in questo modo: infatti, come dice s. Ambrogio, anche tra nemici si devono rispettare i patti e certe norme di guerra.

Secondo, uno può essere ingannato dal nostro parlare, o dal nostro agire, perché noi non gli mostriamo il nostro proposito e le nostre idee. Ora, non sempre siamo tenuti a questo: poiché anche nell'insegnamento sacro diverse cose si devono nascondere, specialmente agli increduli, perché non se ne ridano, come dice il Vangelo: «Non vogliate dar le cose sante ai cani». Perciò a mag­gior ragione si devono nascondere al nemico i preparativi per combatterlo. Quindi tra tutte le altre norme dell'arte militare si mette al primo posto la precauzione di tener segrete le decisioni perché non arrivino al nemico, come si rileva dal libro di Fron­tino. E codesta segretezza costituisce le imboscate, di cui è lecito servirsi nelle guerre giuste. — E propriamente queste imboscate non possono chiamarsi inganni; non sono in contrasto con la giu­stizia; e neppure col retto volere: infatti sarebbe disordinato il volere di uno il quale pretendesse che gli altri non gli nascondes­sero nulla.

Sono così risolte anche le difficoltà.