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Bernardo, I templari

Bernardo: non omicidi ma malicidi

Un’effusione mistica sulla guerra giusta dei Templari

 

Bernardo di Clairvaux (1090-1153)
da A lode dei nuovi soldati (1128-36)

 

Entrato all’abazia di Citeaux nel 1113, viene inviato nel 1115 a fondare l’abazia di Clairvaux. Egli entra nel dibattito religioso del suo tempo con grande vigore. Qui si presentano alcuni frammenti tratti da A lode dei nuovi soldati, opera che egli scrisse tra il 1128 e il 1136 in risposta ad una richiesta del maestro dell’ordine dei Templari per approfondire la voca­zione di questi monaci militari. In essa egli giustifica sul piano teologico e religioso l’istituzione di questo ordine monastico-militare.

Il testo dell’opera si trova in Saint Bernard, Textes choisis et présentés par dom Jean Leclercq, Paris 1957, pp. 152‑164.

 

1. Si sente che un esercito di nuovo genere è sorto sulla terra e in quella regione che un giorno visitò di persona Colui che sorge dall’alto! In quel medesimo luogo da dove cacciò i demoni attraverso la potenza della sua propria mano, egli stermina oggi i loro complici, la razza senza fede, attraverso la truppa dei suoi soldati. Oggi rinnova il riscatto del suo popolo, oggi egli di nuovo leva «il vessillo di salvezza, nella casa di David suo servo!» (Lc 1,69).

Esercito di nuovo tipo, io dico, che le età precedenti non hanno conosciuto: senza stanchezza esso lancia un doppio attacco sia contro la carne e il sangue sia contro gli spiriti malvagi. In verità, quando attraverso le sole forze materiali ci si oppone coraggiosa-mente ad un nemico terrestre, io non vedo in ciò niente di ecce­zionale né di raro. E anche quando le forze dell’anima dichiarano guerra ai vizi e ai demoni, questa lotta è certo lodevole ma non straordinaria, poiché noi vediamo che il mondo è pieno di morti. Ma quando l’uomo interiore e l’uomo esteriore prendono ambedue coraggiosamente la loro spada, rivestono con fierezza la loro uni-forme, chi non giudicherebbe degno di grande ammirazione un impegno così nuovo? Soldato senza paura, sicuro, che riveste con la corazza di ferro il suo corpo e con quella della fede la sua anima! Munito di queste due armi, egli non teme né uomo, né diavolo! Egli non teme neanche la morte, perché desidera morire: che cosa infatti può temere, vivo o morto, poiché per lui «vivere è Cristo e morire è un guadagno» (Fil 1,21). Egli sta sempre pronto, con corrispondenza e con gioia, con il Cristo. Ma egli deside­ra soprattutto «essere disciolto del corpo ed essere con Gesù Cristo» (Fil 1,23), perché è la cosa più bella. Avanti dunque soldati! Voi non avete niente da temere, fate indietreggiare i nemici della croce di Cristo.

Il vostro cuore non trema, sicuro che «né la morte né la vita potranno mai separarvi dall’amore di Dio che è nel Cristo Gesù» (Rm 8,38). Al momento del pericolo voi vi ricordate queste parole dell’apostolo: «sia che noi viviamo, sia che noi moriamo, noi ap­parteniamo al Signore» (Rm 14,8). Quale gloria per coloro che ritornano vittoriosi dal combattimento! Quale beatitudine per coloro che muoiono martiri sul campo di battaglia! Gioite campioni invincibili; se voi vivete e vincete nel Signore; ma esultate e siate più fieri ancora, se voi morirete e sarete riuniti al Signore. La vostra vita è certamente utile e la vostra vittoria gloriosa, ma la vostra morte santa deve essere stimata più in alto ancora. Poiché se si proclama «beati coloro che muoiono nel Signore» (Ap 14,13), che dire di coloro che muoiono per lui?

2. In realtà sia che si muoia nel proprio letto, sia che si muoia sul campo di battaglia, «la morte dei santi è senza alcun dubbio preziosa davanti a Dio» (Sal 115,15), ma la morte sul campo di battaglia ha un prezzo maggiore in quanto è più gloriosa. O vita sicura nel puro distacco! Ripetiamolo, vita sicura perché voi guardate alla morte senza paura, che dico, voi la augurate con predile­zione; voi la ricevete con devozione! Oh guerra veramente santa, guerra senza pericoli! Poiché essa è esente da questo doppio pericolo nel quale cadono troppo sovente gli uomini d’armi quando fanno la guerra per un fine diverso da quello di Cristo. Tu che servi nell’armata profana, devi temere ad ogni incontro sia di uccidere il nemico nel corpo e di morire tu stesso nell’anima, sia di essere ucciso dal tuo nemico e nel corpo e nell’anima. Perché è nel movimento del cuore, non nella fortuna delle armi, che si misurano il pericolo e la vittoria del cristiano. Se la causa del combattimento è buona, la spinta a combattere non può essere cattiva, allo stesso modo il successo non può essere buono, se una buona causa, se una retta intenzione non l’hanno determinato. Se tu vuoi uccidere un altro e ti accade al contrario di essere ucciso, tu muori omicida. Se tu lo superi e uccidi il tuo uomo con una volontà di trionfo o di rivincita, tu vivi omicida. E l’omicidio non è un beneficio né per il morto né per il vivo, né per il vincitore né per il vinto! Infelice vittoria, chi trionfa su di un uomo che soccombe ad un vizio! Bell’affare glorificarti di avere vinto un uomo, quando la collera e l’orgoglio sono i tuoi maestri! Accade allora che si sfida un uomo non per passione di vendetta o orgoglio di vincere, ma per fuggire al pericolo. Ebbene io non chiamerei questa una bella vittoria: tra i due mali, meglio morire nel corpo che nell’anima! Dal fatto che il corpo è ucciso, non ne segue che l’anima muore. Ma «l’anima che avrà peccato, quella morrà» (Ez 18,4).

3. Quanto all’esercito profano (chiamato così non una milizia ma una malizia) qual è il suo fine o il suo profitto, se colui che uccide pecca mortalmente, e se colui che è ucciso perisce in eterno! Poiché per servirmi delle parole dell’apostolo: «colui che lavora deve lavorare nella speranza e colui che batte la paglia, nella spe­ranza di averne profitto» (1 Cor 8,10). Qual è, dunque, o soldatidi molte battaglie, questo errore clamoroso, questa follia inaccetta­bile, che vi fa guerreggiare con grande fatica e pena, senza alcun risultato che non sia la morte o l’omicidio? Voi ricoprite di sete i vostri cavalli e al di sopra delle vostre corazze mettete stoffa raffinata di non so quale tipo. Voi pitturate le vostre lance, i vostri scudi, le vostre selle; voi coprite d’oro, d’argento e di pietre preziose le vostre briglie e i vostri speroni. Vi è necessaria una pompa così grande per correre alla morte? Con un furore di cui dovreste avere vergogna ed una incoscienza che vi impedisce di avere vergogna! È questo un apparato militare o un merletto per donna? Pensate voi che la spada del nemico rispetterà l’oro, ri­sparmierà i brillanti, non affonderà la sua lama nella seta?

Voi sapete bene quanto me, per averlo sperimentato voi stessi, che vi sono tre condizioni principali per battersi: la prima è che il soldato sia forte ed addestrato, la seconda che abbia occhi dap­pertutto per difendersi, la terza che egli sia libero da ogni intralcio per correre da un posto all’altro, rapido e pronto a portare i suoi colpi. Voi, al contrario, avete una cavalcatura pesante come quella di una donna ed essa impedisce i vostri movimenti; voi camminate con difficoltà nelle lunghe ed ampie tuniche; le vostre mani delicate e tenere sono come seppellite in larghe maniche che ricadono tutte intorno.

Ma soprattutto – ed è questo che deve spaventare la coscienza del guerriero – la causa per la quale voi iniziate questa cattiva e malvagia guerra è egualmente troppo leggera e frivola! Che cosa c’è fra di voi che fa scattare una guerra o fa determinare una disputa? Un movimento di collera irrazionale o un desiderio di gloria vana o qualche cupidigia di accrescere le vostre terre! Ma non è prudente uccidere o morire per tali pretesti.

4. I soldati di Cristo al contrario, combattono in tutta sicu­rezza i combattimenti del loro Signore. Essi non hanno da temere né il peccato di omicidio verso i loro nemici, né pericolo alcuno se essi stessi soccombono. Poiché la morte data o ricevuta per il Cristo non comporta niente di malvagio ma anzi merita una grande gloria. Uccidere un nemico per il Cristo è guadagnarlo a Cristo; morire per il Cristo è guadagnare il Cristo per sé. Il Cristo in effetti riceve con bontà la morte del suo nemico come una ripara­zione, si dona lui stesso al suo soldato con maggiore bontà ancora e in segno di consolazione. Il soldato di Cristo, io dico, uccide senza paura, muore con più sicurezza ancora. Se egli muore, il beneficio è per lui; se egli uccide, è per il Cristo. Poiché non è per niente che egli porta la spada. Egli è agli ordini del Signore, «per punire i malvagi e rendere onore ai buoni» (1 Pt 2,13).

Quando egli uccide un malfattore, non è un omicida, ma, io oso dire, un «malicida». Si deve guardarlo esattamente come difen­sore dei cristiani e vendicatore delegato da Cristo presso coloro che agiscono male. Quando è lui per contro che è ucciso, non diciamo che egli è perito, ma che egli ha raggiunto il suo fine. La morte che egli dà è il guadagno di Cristo, la morte che egli riceve è il suo guadagno. La morte del pagano è una gloria per il cristiano, perché il Cristo vi è glorificato. La morte del cristiano mostra la magnanimità del re: il soldato esce dalle fila per essere decorato. Sul pagano morto «il giusto godrà di vedere la vendetta» (Sal 57,12). Non bisognerebbe uccidere i pagani medesimi, se si potesse in altra maniera impedire loro di troppo inquietare o op­primere i fedeli. Ma per il momento la cosa migliore è ucciderli, ciò vale di più «del lasciare allo scettro dei peccatori di decidere della sorte dei giusti; perché i giusti potrebbero essere portati essi stessi a compiere il male» (Sal 124,3).

5. Poniamo la questione: se è assolutamente interdetto ai cri­stiani di colpire con la spada, perché dunque l’araldo del Salvatore avrebbe ingiunto ai soldati di contentarsi del loro soldo e non avrebbe piuttosto interdetto assolutamente il mestiere delle armi? Se al contrario è permesso di uccidere (è la vera dottrina), ma permesso solamente a quelli che portano le armi nell’ordine voluto da Dio e che non si sono consacrati ad altri, chi dunque, vi prego, avrà più diritti di coloro il cui braccio protegge la nostra cittadella di Sion per la sicurezza di tutti? I trasgressori della legge divina sono così fatti indietreggiare nel momento in cui il popolo santo, colui che ha la custodia della verità, entra con sicurezza nella città.

«Che siano disperse senza timore dunque, quelle nazioni che vogliono la guerra» (Sal 67,31). Tagliate la strada a coloro che ci disturbano, cacciate dalla città del Signore tutti coloro che lavo­rano al male che vogliono rubare le ricchezze inestimabili deposte nella Gerusalemme del popolo cristiano, profanare il santuario, possedere di padre in figlio il tempio di Dio! Voi che avete la fede, tirate le vostre due spade contro il nemico e distruggete ogni orgoglio che si innalza contro la scienza di Dio, cioè contro la fede cristiana. Così i pagani non potranno dire: «dov’è il loro Dio?» (Sal 113,2).

6. Quando gli infedeli saranno stati gettati fuori, ritornerà nella sua eredità colui che, irritato, aveva detto nell’Evangelo: «Ecco che la vostra casa vi sarà lasciata deserta» (Mt 23,38), e che si era pianto attraverso la bocca del profeta: «io ho lasciato la mia casa, io ho abbandonato la mia eredità» (Ger 12,7). Egli porterà a compimento questa profezia: «il Signore ha riscattato il suo popolo e lo ha liberato. Essi verranno e danzeranno sul Monte Sion e affluiranno ai beni del Signore» (Ger 31,11). Ralle­grati Gerusalemme e conosci ora il tempo della tua visita! Ralle­gratevi e cantate le lodi, strade deserte di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme, il Signore ha preparato il suo braccio forte, la sua forza santa, agli occhi di tutte le nazioni. Vergine d’Israele, tu eri caduta e nessuno c’era per rialzarti! In piedi, ora, scuoti la polvere, giovane figlia, giovane schiava, Gerusalemme! Levati, io dico, sali il più alto possibile!» (Is 52,2) e guarda la gioia che ti viene dal tuo Dio! Non ti chiamerà più l’abbandonata! Parlando del tuo territorio non dirà più: terra abbandonata! Poiché il Signore si è ricordato di te e la tua terra sarà abitata, leva gli occhi, guarda intorno a te, vedi tutte le genti radunate che sono venute a te. È l’esercito mandato in tuo aiuto da Dio. Attraverso questi soldati si realizza per te l’antica promessa: «Io farò di te l’orgoglio dei secoli, la gioia di generazione in generazione. Tu succhierai il latte delle nazioni, tu sarai nutrita regalmente» (Is 60,15). E ancora: «Come una madre consola i suoi figli, allo stesso modo io vi consolerò. Voi sarete consolati in Gerusalemme» (Is 66,13).

Vedete tutte queste testimonianze degli antichi profeti, che approvano l’esercito nuovo: «ciò che noi abbiamo inteso, noi lo vediamo ora nella città del Signore degli eserciti!» (Sal 47,9). Ma che questa interpretazione letterale non abbia a far torto al senso spirituale! Quando noi applichiamo al nostro tempo le parole pro­fetiche, bisogna che speriamo questo anche per l’eternità. Ciò che si vede non deve far torto a ciò che si crede. La povera realtà presente non può diminuire la ricchezza della nostra speranza, né i fatti di oggi possono svuotare il mondo futuro. La gloria tempo­rale della Gerusalemme terrestre non distrugge i beni celesti, essa ne è piuttosto una prova, a condizione che noi non esitiamo a vedere in essa una figura della Gerusalemme celeste, che è nostra madre.

7. Ma per raffronto con i nostri soldati del secolo (o piuttosto a loro confusione, essi che militano non per Dio ma per il diavolo) descriviamo brevemente la vita e i costumi dei cavalieri di Cristo, come essi si comportano. Si vedrà così come differiscono fra di loro l’esercito di Dio e quello del mondo.

Prima di tutto in ogni tempo la disciplina veglia, l’obbedienza è rispettata, perché, la scrittura lo attesta, il giovane indisciplinato perirà. E «ribellarsi è peccato di magia» e «rifiutare di obbedire è peccato di idolatria» (1 Re 15,13). Ad un segno del comandante si va e si torna. Si prende ciò che egli dà, non si tocca nient’altro come viveri e vestiario. Nel nutrimento e nell’abbigliamento si evita tutto ciò che è superfluo, si guarda al solo necessario. Si vive in comune una vita felice, sobria, senza donne né fanciulli. Perché niente manca alla perfezione evangelica, tutti abitano la medesima casa, avendo gli stessi usi e non possedendo niente in proprio: «desiderosi di conservare l’unità dello spirito nel legame della pace» (Ef 4,3). Si direbbe che tutta questa truppa ha un solo cuore e una sola anima: ciascuno cerca di seguire non la sua volontà ma di obbedire a qualunque comando. In nessun momento si vedono i soldati stare seduti senza far niente o perdendo il tempo. Ma quando non sono impegnati in spedizioni (ciò che è raro) essi non mangiano il loro pane gratuitamente: essi riparano le loro armi e i loro vestiti, fabbricandone di nuovi, rimettendo tutto in ordine, fanno infine tutto ciò che viene indicato dal desi­derio del maestro e dalla necessità comune. Nessuna preferenza di persone presso di essi. Si guarda a chi è migliore e non a chi è più nobile. «Essi gareggiano nello stimarsi a vicenda» (Rm 12,10), «portano reciprocamente i loro fardelli, per compiere così la legge di Cristo» (Gal 6,2). Là, se si usa una parola impertinente, un gesto inutile, una risata smodata, un mormorio anche leggero e a voce bassa, la colpa non resta mai senza riparazione. I giochi non sono ammessi. Questi uomini non si permettono la caccia, i mimi, i commedianti, i loro canti grotteschi, i loro spettacoli, tutto ciò che è ai loro occhi vanità e follia essi rigettano e condannano. Essi tengono i capelli corti, sapendo secondo l’apostolo che è una vergogna per un uomo quanto il curare la cavalcatura. Mai pettinati, raramente lavati, con i capelli piuttosto trascurati, essi sono pieni di polvere e anneriti dalla corazza e dal sole.

8.Quando viene l’ora del combattimento essi si rivestono in­teriormente di fede, esteriormente di ferro e non d’oro. Così armati e non ornati, essi gettano il terrore presso il nemico. Essi vogliono dei cavalli vigorosi e rapidi e non si preoccupano di mettere loro né collari né stoffe colorate, perché essi pensano al combattimento e non alla pompa; alla vittoria e non alla gloria e preferiscono determinare timore più che ammirazione. Essi si ordinano e si schierano in battaglia non con turbolenza o impetuosità, non con precipitazione e leggerezza, ma prudentemente e saggiamente, comeè scritto del popolo eletto. Questi veri israeliti avanzano verso il combattimento in maniera tranquilla. Ma quando è il momento dello scontro allora non è più questione di dolcezza. Essi sembrano dire: «Signore, non odio forse quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici?» (Sal 138,31). Essi si lanciano sugli avversari e considerano che il battersi sia facile come sconfiggere un agnello. Quale che sia il loro piccolo numero, essi non temono né la sel­vaggia barbarie dei loro nemici né il loro enorme numero. Essi hanno appreso a non presumere dalla loro forza ma a sperare che la vittoria venga dal Signore degli eserciti. Come i maccabei, hanno fiducia che sia facile assoggettare una moltitudine ad opera di un piccolo numero. Perché per Dio poco importa di salvare, usando più o meno soldati. «La vittoria non sta nella forza dell’esercito, ma nella potenza che viene dal cielo» (1 Mac 3,19). Essi ne hanno fatto sovente l’esperienza e si può dire che molte volte uno solo ne ha inseguiti mille e due ne hanno fatto fuori diecimila.

Si vede dunque a volte – contrasto meraviglioso e raro – che sono più dolci degli agnelli e più feroci dei leoni. Ed io esito sul nome che devo dare loro. Li chiamerò monaci o soldati? Io posso, è vero, dire l’uno e l’altro, perché niente loro manca: né la dol­cezza del monaco né la bravura del soldato. Che dire se non che «è Dio che ha fatto questo ed è meraviglioso ai nostri occhi!» (Sal 117,23). Dio si è scelto tali servitori e li ha riuniti dall’estre­mità della terra, prendendoli tra i forti di Israele. Vigilanti e fedeli, essi guardano il letto del vero Salomone, cioè il Santo Sepolcro.