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Eco, Il messaggio cifrato

Eco: graecum est, non legitur

Un esempio di esercizio metalinguistico

 

Umberto Eco (1932)
“Secondo giorno. Compieta”, da Il nome della rosa
(1980)

 

Mi mostrò i segni misteriosi che erano apparsi come d’incanto al calore della fiamma: “Venanzio voleva celare un segreto importante e ha usato uno di quegli inchiostri che scrivono senza lasciar traccia e riappaiono al calore. Oppure ha usato del succo di limone. Ma siccome non so che sostanza abbia usato e i segni potrebbero riscomparire, presto, tu che hai gli occhi buoni, ricopiali subito nel modo più fedele che puoi, e magari un poco più grandi.” E così feci, senza sapere cosa copiassi. Si trattava di una serie di quattro o cinque linee invero stregonesche, e riporto ora solo i primissimi segni, per dare al lettore una idea dell’enigma che avevamo davanti agli occhi:

♐☉☿♏☉♑♒♓   ♂♈♋♈♐   ♀♂♏♈☿♀☉

Quando ebbi copiato Guglielmo guardò, purtroppo senza lenti, tenendo la mia tavoletta a una buona distanza dal naso. “È certamente un alfabeto segreto che occorrerà decifrare,” disse. “­I segni sono tracciati male, e forse tu li hai ricopiati peggio, ma si tratta certamente di un alfabeto zodiacale. Vedi? Nella prima linea abbiamo...” allontanò ancora il foglio da sé, strinse gli occhi, con uno sforzo di concentrazione: “Sagittario, Sole, Mercurio, Scorpione...”

“E cosa significano?”

“Se Venanzio fosse stato un ingenuo avrebbe usato l’alfabeto zodiacale più comune: A uguale a Sole, B uguale a Giove... La prima linea si leggerebbe allora... prova a trascrivere: RAIQASVL...” S’interruppe. “No, non vuole dire nulla, e Venanzio non era ingenuo. Ha riformulato l’alfabeto secondo un’altra chiave. Dovrò scoprirla.”

“È possibile?” domandai ammirato.

“Sì, se si conosce un poco della sapienza degli arabi. I migliori trattati di criptografia sono opera di sapienti infedeli, e a Oxford ho potuto farmene leggere qualcuno. Bacone aveva ragione a dire che la conquista del sapere passa attraverso la conoscenza delle lingue. Abu Bakr Ahmad ben Ali ben Washiyya an‑Nabati ha scritto secoli fa un Libro del frenetico desiderio del devoto di apprendere gli enigmi delle antiche scritture e ha esposto molte regole per comporre e decifrare alfabeti misteriosi, buoni per pratiche di magìa, ma anche per la corrispondenza tra gli eserciti, o tra un re e i propri ambasciatori. Ho visto altri libri arabi che elencano una serie di artifici assai ingegnosi. Puoi per esempio sostituire una lettera con un’altra, puoi scrivere una parola a rovescio, puoi mettere le lettere in ordine inverso, ma prendendone una sì e una no, e poi ricominciando da capo, puoi come in questo caso sostituire le lettere con segni zodiacali, ma attribuendo alle lettere nascoste il loro valore numerico e poi, secondo un altro alfabeto, convertire i numeri in altre lettere...”

“E quale di questi sistemi avrà usato Venanzio?”

“Bisognerebbe provarli tutti, e altri ancora. Ma la prima regola per decifrare un messaggio è indovinare cosa voglia dire.”

“Ma allora non c’è più bisogno di decifrarlo!” risi.

“Non in questo senso. Si possono però formulare delle ipotesi su quelle che potrebbero essere le prime parole del messaggio, e poi vedere se la regola che se ne inferisce vale per tutto il resto dello scritto. Per esempio, qui Venanzio ha certamente annotato la chiave per penetrare nel finis Africae. Se io provo a pensare che il messaggio parli di questo, ecco che sono illuminato all’improvviso da un ritmo... Prova a guardare le prime tre parole, non considerare le lettere, considera solo il numero dei segni... IIIIIIII IIIII IIIIIII... Ora prova a dividere in sillabe di almeno due segni ciascuna, e recita ad alta voce: ta‑ta‑ta, ta‑ta, ta‑ta‑ta... Non ti viene in mente nulla?”

“A me no.”

“E a me sì. Secretum finis Africae... Ma se così fosse l’ultima parola dovrebbe avere la prima e la sesta lettera uguali, e così infatti è, ecco due volte il simbolo della Terra. E la prima lettera della prima parola, la S, dovrebbe essere uguale all’ultima della seconda: e infatti ecco ripetuto il segno della Vergine. Forse è la strada buona. Però potrebbe trattarsi solo di una serie di coincidenze. Occorre trovare una regola di corrispondenza...”

“Trovarla dove?”

“Nella testa. Inventarla. E poi vedere se è quella vera. Ma tra una prova e l’altra il gioco potrebbe portarmi via una giornata intera. Non di più perché – ricordalo – non c’è scrittura segreta che non possa essere decifrata con un po’ di pazienza. Ma ora rischiamo di far tardi e vogliamo visitare la biblioteca. Tanto più che senza lenti non riuscirò mai a leggere la seconda parte del messaggio, e tu non mi puoi aiutare perché questi segni, ai tuoi occhi...”

“Graecum est, non legitur,” completai umiliato.

“Appunto, e vedi che aveva ragione Bacone. Studia! Ma non perdiamoci d’animo. Riponiamo la pergamena e i tuoi appunti, e saliamo in biblioteca. Perché questa sera nemme­no dieci legioni infernali riusciranno a trattenerci.”

* * *

 

Terzo giorno.

NONA

Venne un novizio a informarci che l’Abate voleva vedere Guglielmo, e lo attendeva in giardino. Il mio maestro fu costretto a rimandare i suoi esperimenti a più tardi e ci affrettammo verso il luogo dell’incontro. Mentre ci avviavamo Guglielmo si dette un colpo in fronte, come se si ricordasse solo a quel punto di qualcosa che aveva dimenticato.

“A proposito,” disse, “ho decifrato i segni cabalistici di Venanzio.”

“Tutti?! Quando?”

“Quando dormivi. E dipende cosa intendi per tutti. Ho decifrato i segni apparsi alla fiamma, quelli che tu hai ricopiato. Gli appunti in greco devono attendere che io abbia nuove lenti.”

“Allora? Si trattava del segreto del finis Africae?”

“Sì, e la chiave era abbastanza facile. Venanzio disponeva dei dodici segni zodiacali e di otto segni per i cinque pianeti, i due luminari e la terra. Venti segni in tutto. Abbastanza per associarvi le lettere dell’alfabeto latino, dato che puoi usare la stessa lettera per esprimere il suono delle due iniziali di unum e di velut. L’ordine delle lettere, lo sappiamo. Quale poteva essere l’ordine dei segni? Ho pensato all’ordine dei cieli, ponendo il quadrante zodiacale all’estrema periferia. Quindi, Terra, Luna, Mercurio, Venere, Sole, eccetera, e poi di seguito i segni zodiacali nella loro sequenza tradizionale, così come li classifica anche Isidoro di Siviglia, a cominciare dall’Ariete e dal solstizio di primavera, finendo coi Pesci. Ora, se provi ad applicare questa chiave, ecco che il messaggio di Venanzio acquista un senso.”

Mi mostrò la pergamena, su cui aveva trascritto il messaggio in grandi lettere latine: Secretum finis Africae manus supra idolum age primum et septimum de quatuor.

“È chiaro?” chiese.

“La mano sopra l’idolo opera sul primo e sul settimo dei quattro...” ripetei scuotendo la testa. “Non è chiaro affatto!”

“Lo so. Bisognerebbe anzitutto sapere cosa Venanzio intendeva con idolum. Una immagine, un fantasma, una figura? E poi, cosa saranno questi quattro che hanno un primo e un settimo? E che cosa bisogna farne? Muoverli, spingerli, tirarli?”

“Allora non sappiamo nulla e siamo al punto di prima, dissi con gran disappunto. Guglielmo si arrestò e mi guardò con un’aria non del tutto benevola. “Ragazzo mio,” disse, “hai di fronte a te un povero francescano che con le sue modeste conoscenze e quel poco di abilità che deve alla infinita potenza del Signore è riuscito in poche ore a decifrare una scrittura segreta che il suo autore era sicuro riuscisse ermetica per tutti tranne che per lui... e tu, miserabile furfante illetterato, ti permetti di dire che siamo al punto di prima?”

Mi scusai con molta goffaggine. Avevo ferito la vanità dei mio maestro, eppure sapevo quanto egli andasse fiero della rapidità e sicurezza delle sue deduzioni. Guglielmo aveva davvero compiuto un’opera degna di ammirazione e non era colpa sua se il callidissimo Venanzio non solo aveva celato quanto aveva scoperto sotto le spoglie di un oscuro alfabeto zodiacale, ma aveva anche elaborato un indecifrabile enigma.

“Non importa, non importa, non scusarti,” mi interruppe Guglielmo. “In fondo hai ragione, sappiamo ancora troppo poco. Andiamo.”