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corale

Il corale, inteso in senso specifico, è il tipico canto liturgico della chiesa luterana (in tedesco Kirchenlied ‘canzone di chiesa’, o semplicemente Lied ‘canzone’; plur. Kirchenlieder), estesosi poi a quasi tutte le chiese della Riforma. Lutero, nell’intento di modernizzare la pratica cultuale e di rendervi protagonista l’assemblea, scelse per i testi la lingua tedesca in luogo del latino, e per le musiche adottò forme più semplici, spesso derivate dalla tradizione popolare profana, invece delle complicate forme contrappuntistiche riservate inevitabilmente a cantori professionali. Egli stesso tradusse molti testi della tradizione cattolica latina, molti ne scrisse di nuovi attenendosi alla base della antica liturgia, e compose anche alcune melodie per i nuovi canti, pubblicate insieme a quelle di suoi colaboratori a partire dal 1523, giungendo a una straordinaria popolarità. La tradizione tedesca del canto polifonico indusse presto le comunità ad armonizzare i corali a 4 parti (soprano, alto, tenore e basso) in una agile forma omoritmica (tutte le voci procedono insieme con lo stesso ritmo) e a cantarli in assemblea durante le funzioni religiose, avendo cura di lasciare sempre la melodia principale  alla voce superiore (cantus, o superius), perché fosse riconoscibile e predominante. Nel corso soprattutto dei primi secoli il repertorio dei canti liturgici si arricchì sia di rielaborazioni di melodie precedenti, sia di nuove melodie adattate alle esigenze del rito e delle comunità, secondo il contenuto dei salmi, del catechismo e della messa; ciò ha fatto sì che il corale rimanesse fino a oggi il cardine più rilevante della musica nel culto luterano e delle chiese riformate. Più recentemente anche la chiesa cattolica, nella sua ultima riforma conciliare, allargando la presenza e il ruolo della assemblea nell’ambito del rito, si è ritrovata a dover fare i conti con la mancanza di una tradzione del canto comunitario, e ha inevitabilmente dovuto attingere al ricchissimo patrimonio dei corali protestanti.

Il corale (solitamente composto di molte strofe, come gli ►inni latini da cui spesso deriva) poteva essere cantato per intero dalla comunità, nella sua armonizzazione a 4, con l’accompagnamento discreto dell’organo a sostegno delle voci. Ma più facilmente veniva eseguito in alternanza (alternatim) tra l’assemblea, il coro e l’organo, secondo una pratica in uso anche nella chiesa romana, e nonostante le adombrate riserve di Lutero, il quale aveva sostenuto che «organa vero ad missam non debent adhiberi» (a messa è meglio non usare strumenti musicali). In ogni caso, l’impiego dell’organo si generalizzò ben presto in tutte le chiese della Riforma, sia nel culto ufficiale che nelle pratiche devozionali, e con esso la presenza dell’organista professionale stipendiato. Da principio l’accompagnamento organistico dei corali si limitava al puro e semplice sostegno delle voci (o della voce principale) con cui veniva cantato da assemblea e coro. Ma poi si può pensare che, in proporzione alla perizia e creatività dell’organista, dovettero iniziare a delinearsi svariate forme di arricchimento e abbellimento dei brani strumentali, che avevano il loro luogo specialmente nelle esecuzioni alternatim, dove l’organista, strofa per strofa, prima sosteneva il coro e poi esibiva la propria arte di solista, pursempre legata alla melodia dell’inno che si eseguiva. In questo modo si diffuse il genere del corale organistico (Choralvorspiel, alla lettera ‘corale suonato’), che produsse una ricca articolazione di alternative strumentali al ‘corale cantato’ in semplice armonizzazione: rispetto alla forma o ai procedimenti compositivi, tali modelli si possono classificare per chiarezza secondo alcune tipologie principali (adattato da A. Basso, 1998/1, p. 146):

  procedimenti compositivi  
corale omoritmico
(armonizzazione della melodia)
a) nota contro nota (accompagnamento alle voci)
b) con liberi interludi fra un versetto e l’altro (corale-toccata)
corale polifonico
(in imitazione)
a) stile di mottetto
b) stile canonico (canone o fuga su corale)
  forme  
corale su cantus firmus a) su tema invariato (corale contrappuntistico)
b) su tema arricchito di melismi (corale ornato)
corale variato a) partite sul corale (= più variazioni dell’intera strofa)
b) variazione sul tema
corale libero a) corale in trio (= a tre parti in contrappunto)
b) fantasia sul corale


corale omoritmico: in sostanza è la pura linea melodica del corale (cantus firmus), armonizzata a quattro parti che procedono più o meno contemporaneamente, e destinata al canto dell’assemblea; l’organo in tal caso si limita suonare le note dell’armonizzazione per sostegno delle voci. Talora l’organo può eseguire da solo alcune battute di improvvisazione tra un versetto e l’altro (interludi strumentali), ma anche prima dell’intonazione (preludi) e al termine delle strofe (postludi), dette toccate per il fatto che toccare era il verbo tecnico indicante l’esecuzione con uno strumento (nell’ambito delle cantate sacre si parla preferibilmente di corale figurato o concertato).

corale polifonico: l’organo impiega la melodia di tutta o di parte della strofa in imitazione, ossia in modo che le varie parti entrino una dopo l’altra sulle linee dei versetti e si intreccino tra loro su motivi simili, ma perdendo in questo modo la struttura chiusa e precisa delle frasi originarie; il brano assume così le caratteristiche di un ►mottetto (che in ambito sacro costituisce il parallelo del ►madrigale in campo profano). Il massimo della complessità si raggiunge quando le tecniche imitative assumono le regole del ►canone e della ►fuga.

corale su cantus firmus: essendo il cantus firmus la melodia principale del corale eseguita normalmente nel coro dalla voce superiore, l’organo poteva suonare al livello di una delle voci (di solito all’acuto, più di rado al grave, quasi mai alle voci intermedie) la pura linea melodica, arricchendo la sua armonizzazione alle altre parti con i contrappunti più inventivi e vari (corale contrappuntistico), ma pursempre senza alterarne lo schema fraseologico (una specie di arricchimento in contrappunto della armonizzazione semplice). La melodia del corale poteva però venire arricchita essa pure di ►melismi più o meno estesi e conformi a diverse tipologie tecniche strumentali, dando luogo al cosiddetto corale ornato.

corale variato: la pratica dell’esecuzione del corale per omnes versus (ossia eseguendo una per una tutte le numerose strofe, che in area tedesca si usava chiamare versus), invitava spontaneamente a impiegare di volta in volta tecniche differenti di accompagnamento, per evitare la monotonia della ripetizione. Prendevano il nome di partite (ossia ‘ripartite, suddivise in più parti’) le serie di variazioni composte sulla melodia di un corale (probabilmente da eseguirsi alternatim col coro). Ma in certe circostanze solo alcune parti della melodia venivano utilizzate per essere sottoposte a variazioni strumentali, in brani meno legati alla struttura ricorrente delle strofe e di articolazione più autonoma e indipendente dal canto del coro.

corale libero: il massimo della creatività compositiva organistica esercitata sulle melodie dei corali si aveva quando esse erano impiegate come materiale musicale di base per costruire brani del tutto sganciati dalla struttura rigida della strofa, che a volte prendevano la forma di sonate in trio (cioè brani strumentali a tre parti in contrappunto), o di vere e proprie fantasie, nei casi di libertà inventiva più estrema.

Lo schema astratto qui evidentemente congela le varie tipologie di corali organistici, ma è chiaro che nel concreto si realizzavano opere in cui quasi sempre ciascuno di questi elementi si combinava in maggior o minor grado con qualcuno degli altri, dando luogo un po’ a tutta la gamma delle possibilità intermedie, dipendenti dalla abilità ed energia creativa degli esecutori, oltre che dalle esigenze delle comunità ecclesiastiche cui le esecuzioni erano destinate.

Quando poi dalla metà del ‘600 si diffuse in ambito luterano l’uso della cosiddetta cantata sacra (il termine è improprio, ma si è comunque definitivamente imposto a indicare ciò che in tedesco si chiama genericamente Kirchenmusik, musica da chiesa) e la rilevante presenza in essa del corale liturgico, le varie forme di inserimento e adattamento delle melodie corali al nuovo genere di concerto sacro si possono ricondurre, sia pure con una ulteriore ricchezza e complessità, alle tipologie del corale organistico illustrate sopra (per la elaborazione corale di vario tipo nel contesto delle cantate si parla tecnicamente di Choralbearbeitung, plur. Choralbearbeitungen).

 


Per approfondire

Martin LUTHER, Corale “Nun komm der Heiden Heiland”