Chi crede che i messaggini di 140-150 caratteri e le abbreviazioni inventate per gli sms o i twitter siano una trovata della società tecnologica digitale, si sbaglia grossolanamente.
Nella pratica della scrittura europea medievale (specie nei secoli XIII-XVI) era diffusissima l’usanza di abbreviare il maggior numero di parole possibile, in pratica quasi tutte, al punto che oggi è molto difficile interpretare i manoscritti di quell’epoca per chi non abbia una solida formazione nella paleografia latina (ossia nello studio delle antiche scritture e abbreviazioni in caratteri latini).
Ma anche nella poesia giapponese (a partire dal secolo V d.C. fino a oggi) esistono forme di componimenti brevissimi, come ad esempio:
• tanka (= poesia breve): poesia di 5 versi, per complessive 31 sillabe (5+7+5 | 7+7).
• haiku (derivato dalla prima sezione del tanka): poesia di 3 versi, per complessive 17 sillabe (5+7+5).
Quindi niente di nuovo sotto il sole.
Tutti certo ricordano le nostre frequenti discussioni sul fatto che:
a) non esiste una comunicazione con le regole e una senza le regole, ma se mai persone che comunicano conoscendo le regole che applicano, e persone che, credendo di non usare regole, in realtà semplicemente non sanno quali regole seguono;
b) ogni atto comunicativo ha le sue regole che, per essere utili ed efficienti, devono essere coerenti e funzionali al tipo di comunicazione che si vuole ottenere.
Per approfondire
• haiku (Wikipedia), con esempi
• tanka (Wikipedia)
Esercizi
Si può anche pensare alla possibilità di affrontare il problema della micro-composizione fortemente regolamentata in forma di gioco: creare dei tanka o haiku, o addirittura (come qualcuno ha già tentato) romanzi in 150 caratteri (consentite le abbreviazioni).