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Dall’io al sé (senza ritorno)

Ribadisco (ci tengo molto) la necessità, anzi l’utilità di fare uno sforzo per proporre una traduzione propria dei versi di Catullo: è un po’ quell’esercizio che, nella metafora di stamattina, corrispondeva a lanciare segnali in una stanza al buio, per ricavarne informazioni sia sulla stanza, sia su di sé dentro la stanza.

Provate (altra metafora analoga) a immaginare di percorrere una gimcana a occhi bendati, senza avere nessuno che vi fornisce informazioni (o peggio avere qualcuno che dà informazioni sbagliate o devianti): cosa fareste, se non volete inchiodarvi là dove siete arrivati, senza più muovervi?

Intanto ribadisco un paio dei concetti esaminati stamattina:

io-soggetto è l’io che pensa (sapendo di pensare)
• l’io-soggetto può pensare tutto quello che vuole, e ciò che pensa è l’oggetto
• tra le tante cose, l’io-soggetto può anche pensare qualcosa di se stesso: in tal caso si parla del “”, che non è altro che l’io-oggetto dell’io-soggetto.

Quindi:
io = io-soggetto
= io-oggetto.

• noterete che l’io-oggetto” è strutturalmente più vicino all’oggetto che al soggetto, in quanto ha la stessa natura di tutte le altre cose che il soggetto pensa (salvo il fatto che il soggetto dovrebbe conoscerlo meglio di come conosce gli altri oggetti... ma questo non è sempre detto!)
• noterete anche che l’io-soggetto è determinato dal fatto di avere un oggetto, e in particolare se stesso come oggetto (un io che pensasse solo altre cose e mai se stesso, non sarebbe un gran io-soggetto, no?)
• e ancora noterete che, mentre l’io-soggetto ha – diciamo così – un unico livello, l’io-oggetto ha molti livelli, in quanto l’io può pensare se stesso che agisce, ma può pensare anche se stesso che pensa che agisce, ma anche se stesso che pensa se stesso che pensa che agisce, ma anche se stesso che pensa se stesso...