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Gluck, Prefazione all’Alceste

Gluck: la musica al suo vero ufficio di servire la poesia

Il manifesto della riforma del melodramma italiano

 

Christoph Willibald GLUCK (1714-1787)
“Prefazione. Dedica al Granduca Leopoldo di Toscana”
dalla prima edizione dell’Alceste (Vienna, 1769)

 

Nella celebre prefazione (redatta con ogni probabilità assieme a Calzabigi) alla prima stampa di Alceste, edita a Vienna nel 1769 presso Trattnern con dedica al Granduca di Toscana, futuro imperatore Leopoldo II, Gluck espone le sue idee sulla riforma dell’opera seria in un compendio essenziale e illuminante.

 

ALTEZZA REALE! Quando presi a far la musica dell’Alceste mi proposi di spogliarla affatto di tutti quegli abusi che, introdotti o dalla mal intesa vanità dei Cantanti, o dalla troppa compiacenza de’ Maestri, da tanto tempo sfigurano l’Opera italiana, e del più pomposo e più bello di tutti gli spettacoli, ne fanno il più ridicolo e il più noioso. Pensai restringere la musica al suo vero ufficio di servire la poesia, per l’espressione e per le situazioni della favola, senza interromper l’azione o raffreddarla con degli inutili superflui ornamenti, e crederei ch’ella far dovesse quel che sopra un ben corretto e ben disposto disegno la vivacità de’ colori e il contrasto bene assortito de’ lumi e delle ombre, che servono ad animare le figure senza alterarne i contorni. Non ho voluto dunque né arrestare un attore nel maggior caldo del dialogo per aspettare un noioso ritornello, né fermarlo a mezza parola sopra una vocal favorevole, o a far pompa in un lungo passaggio dell’agilità di sua bella voce, o ad aspettare che l’Orchestra gli dia il tempo di raccorre il fiato per una cadenza. Non ho creduto di dover scorrere rapidamente la seconda parte di un’aria, quantunque fosse la più appassionata e importante per aver luogo di ripeter regolarmente quattro volte le parole della prima, e finir l’aria dove forse non finisce il senso, per dar comodo al cantante di far vedere che può variare in tante guise capricciosamente un passaggio; insomma ho cercato di sbandire tutti quegli abusi de’ quali da gran tempo esclamavano invano il buon senso, e la ragione.

Ho imaginato che la sinfonia debba prevenire gli spettatori dell’azione che ha da rappresentarsi, e formare, per dir così, l’argomento: che il concerto degli istrumenti abbia a regolarsi a proporzione degl’interessi e della passione, e non lasciare quel tagliente divario nel dialogo fra l’aria e il recitativo, che non tronchi a controsenso il periodo, né interrompa mal a proposito la forza e il caldo dell’azione.

Ho creduto poi che la mia maggior fatica dovesse ridursi a cercare una bella semplicità; ed ho evitato di far pompa di difficoltà in pregiudizio della chiarezza; non ho giudicato spregevole la scoperta di qualche novità, se non quando fosse naturalmente somministrata dalla situazione e dall’espressione; e non v’è regola d’ordine ch’io non abbia creduto doversi di buona voglia sacrificare in grazie dell’effetto.

 

Ecco i miei principj. Per buona sorte si prestava a meraviglia al mio disegno il libretto, in cui il celebre autore, immaginando un nuovo piano per il drammatico, aveva sostituito alle fiorite descrizioni, ai paragoni superflui e alle sentenziose e fredde moralità, il linguaggio del cuore, le passioni forti, le situazioni interessanti e uno spettacolo sempre variato. Il successo ha giustificato le mie massime, e l’universale approvazione in una città così illuminata ha fatto chiaramente vedere che la semplicità, la verità e la naturalezza sono i grandi principii del bello in tutte le produzioni dell’arte.

Con tutto questo, malgrado le replicate istanze di persone le più rispettabili per determinarmi di pubblicare con le stampe questa mia opera, ho sentito tutto il rischio che si corre a combattere dei pregiudizi così ampiamente, e così profondamente radicati, e mi son veduto in necessità di premunirmi del patrocinio potentissimo di vostra altezza reale implorando la grazia di prefiggere a questa mia opera il suo augusto nome, che con tanta ragione riunisce i suffragi dell’Europa illuminata. Il gran Protettore delle bell’Arti, che regna sopra una nazione, che ha la gloria di averle fatte risorgere dalla universale opressione, e di produrre in ognuna i più gran modelli, in una città ch’è stata sempre la prima a scuotere il giogo de’ pregiudizi volgari per farsi strada alla perfezione, può solo intraprendere la riforma di questo nobile spettacolo in cui tutte le arti belle hanno tanta parte. Quando questo succeda resterà a me la gloria d’aver mossa la prima pietra, e questa publica testimonianza della sua alta Protezione al favor della quale ho l’onore di dichiararmi con il più umile ossequio

di vostra altezza reale umilissimo devotissimo obligatissimo servitore
Cristoforo Gluck.