Monteverdi, Combattimento

Categoria: Seicento
Ultima modifica il Mercoledì, 18 Novembre 2015 07:51
Pubblicato Giovedì, 21 Marzo 2013 16:04
Scritto da quomodo
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Claudio MONTEVERDI (1567-1643)

“Combattimento di Tancredi & Clorinda”, madrigale in stile rappresentativo
per soprano, 2 tenori, 4 viole da braccio, contrabbasso e clavicembalo

prima esecuzione: Venezia, Carnevale 1624;
prima edizione: Madrigali guerrieri & amorosi. Libro ottavo, Venezia, 1638.

 

dalla prefazione al Libro VIII dei Madrigali

Combatimento in Musica di Tancredi et Clorinda, descritto dal Tasso; il quale volendosi esser fatto in genere rappresentativo, si farà entrare alla sprovista (dopo cantatosi alcuni madrigali senza gesto) dalla parte de la Camera in cui si farà la Musica, Clorinda a piedi armata, seguita da Tancredi armato sopra ad un Cavallo Marrano, et il Testo all’hora comincerà il Canto.

   Faranno gli passi et gesti nel modo che l’oratione esprime, et nulla di più né meno, osservando questi diligentemente gli tempi, colpi et passi, et gli ustrimentisti gli suoni incitati e molli; et il Testo le parole a tempo pronuntiate, in maniera, che le creationi venghino ad incontrarsi in una immitatione unita; Clorinda parlerà quando gli toccherà, tacendo il Testo; così Tancredi.

   Gli ustrimenti, cioè quattro viole da brazzo, Soprano, Alto, Tenore et Basso et contrabasso da Gamba, che continuerà con il Clavicembano, doveranno essere tocchi ad immitatione delle passioni dell’oratione; la voce del Testo doverà essere chiara, ferma et di bona pronuntia alquanto discosta da gli ustrimenti, atiò meglio sii intesa nel oratione.

   Non doverà far gorghe né trilli in altro loco, che solamente nel canto de la stanza che incomincia “Notte”; il rimanente porterà le pronuntie et <a> similitudine delle passioni del’oratione.

   In tal maniera (già dodici Anni) fu rapresentato nel Pallazzo del’Illustrissimo et Eccelentissimo Signor Girolamo Mozzenigo, mio particolar Signore. Con ogni compitezza, per essere Cavaliere di bonissimo et delicato gusto; In tempo però di Carnevale per passatempo di veglia; Alla presenza di tutta la nobiltà, la quale restò mossa dall’affetto di essere statto canto di genere non più visto né udito. 

 

 

Torquato TASSO  (1544-1595)

“Tancredi che Clorinda un uomo stima”

dalla Gerusalemme liberata XII, 52-62, 64-68 (con adattamenti dalla Gerusalemme conquistata, XV)

Nota metrica: ottave epiche; schema delle rime: AB AB AB CC. (Le parole in corsivo rappresentano le integrazioni dalla Conquistata).


[52.] Tancredi che Clorinda un homo stima,
vol nel’armi provarla al paragone
:
va girando colei l’alpestre cima
ver altra porta ove d’entrar dispone.
Segue egli impetuoso: onde assai prima
che giunga, in guisa avien che d’armi suone,
ch’ella si volge e grida: «O tu, che porte,
correndo sì?» Rispose: «E guerra e morte.»

[53.] «Guerra e mort’havrai:» disse «io non rifiuto
darlati se lei cerchi e fermo attende.»
Né vol Tancredi ch’ebbe a piè veduto
il suo nemico usar cavallo e scende.
E impugna l’un l’altro il ferro acuto
et aguzza l’orgoglio e l’ira accende
e vansi incontro a passi tardi e lenti
quai due tori gelosi e d’ira ardenti.

[54.] Notte, che nel profond’oscuro seno
chiudesti e nell’oblio fatto sí grande;
degno d’un chiaro sol, degno d’un pieno
theatro opre sarian sì memorande:
piacciati ch’indi il tragga e ‘n bel sereno
alle future età lo spieghi e mande.
Viva la fama lor e tra lor gloria
splenda del fosco tuo l’alta memoria.

[55.] Non schivar, non parar, non pur ritrarsi
voglion costor, né qui destrezz’ha parte,
non danno i colpi hor finti, hor pieni, hor scarsi:
toglie l’ombra e ‘l furor l’uso dell’arte.
Odi le spade orribilmente urtarsi
a mezzo il ferro e ‘l pié d’orma non parte;
sempr’è il pié fermo, e la man sempre in moto
né scende taglio invan, né punta a voto.

[56.] L’onta irrita lo sdegno alla vendetta
e la vendetta poi l’onta rinnova; 
onde sempre al ferir, sempre alla fretta
stimol novo s’aggiunge e piaga nova;
d’hor in hor più si mesce e più ristretta
si fa la pugna, e spada oprar non giova:
dansi co’ pomi infelloniti e crudi,
cozzan co’ gli elmi insieme e co’ gli scudi.

[57.] Tre volte il cavaglier la donna stringe
con le robuste braccia, et altrettante
poi da quei nodi tenaci ella si scinge,
nodi di fier nemico e non d’amante.
Tornano al ferro, e l’un e l’altro il tinge
di molto sangue; e stanco et anelante
e questi e quegli alfin pur si ritira,
e dopo lungo faticar respira.

[58.] L’un l’altro guarda, e del suo corpo esangue
sul pomo della spada appoggia il peso.
Già de l’ultima stella il raggio langue
su ‘l primo albor ch’è in oriente acceso.
Vede Tancredi in maggior copia il sangue
del suo nemico, e sé non tanto offeso.
Ne gode e insuperbisce. O nostra folle
mente, ch’ogni aura di fortuna estolle!

[59.] Misero, di che godi? Oh quanto mesti
fiano i trionfi et infelice il vanto!
Gli occhi tuoi pagheran, s’in vita resti,
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.

Così tacendo e rimirando, questi
sanguinosi guerrier cessaro alquanto.
Ruppe il silenzio alfin Tancredi e disse,
perché il suo nome a l’un l’altro scoprisse:

[60.] «Nostra sventura è ben che qui s’impieghi
tanto valor dove silentio il copra.
Ma poi che sorte ria vien che ci nieghi
e lode e testimon degni de l’opra,
pregoti, se fra l’armi han loco i prieghi,
ch’el tuo nome e ‘l tuo stato a me tu scopra,
acciò ch’io sappia, o vinto o vincitore,
chi la mia morte o la mia vita honore

[61.] Rispose la feroce: «Indarno chiedi
quel c’ho per uso di non far palese;
ma chiunque io mi sia, tu inanzi vedi
un di quei duo che la gran torre accese.»
Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,
e: «In mal punto il dicesti;» [indi riprese]
«il tuo dir e ‘l tacer di par m’alletta,
barbaro discortese, a la vendetta.»

[62.] Torna l’ira ne’ cori e li trasporta,
benché debili in guerra a fiera pugna.
U’ l’arte in bando u’ già la forza è morta,
ove invece d’entrambi il furor pugna!
Oh che sanguigna e spatiosa porta
fa l’una e l’altra spada ovunque giugna
ne’ l’armi e nelle carni! e se la vita
non esce, sdegno tienla al petto unita.

[64.] Ma ecco homai l’hora fatal è giunta
ch’el viver di Clorinda al suo fin deve.
Spinge egli il ferro nel bel sen di punta
che vi s’immerge e ‘l sangue avido beve;
e la veste, che d’or vago trapunta
le mammelle stringea tenera e lieve,
l’empie d’un caldo fiume: ella già sente
morirsi, e ‘l piè le manca egro e languente.

[65.] Segue egli la vittoria: e la trafitta
vergine minacciando incalza e preme.
Ella, mentre cadea, la voce afflitta
movendo, disse le parole estreme;
parole ch’a lei novo spirto ditta,
spirto di fé, di carità, di speme:
virtú che Dio l’infonde, e se rubella
in vita fu, la volle in morte ancella.

[66.] «Amico, hai vinto: io ti perdon. Perdona
tu ancora, al corpo no, che nulla pave,
a l’alma sí; deh! per lei prega, e dona
battesmo a me ch’ogni mia colpa lave.»

In queste voci languide risuona
un non so che di flebile e soave
ch’al cor gli scende et ogni sdegno ammorza,
e gli occhi a lagrimar l’invoglia e sforza.

[67.] Poco quindi lontan nel sen d’un monte
scaturia mormorando un picciol rivo:
egli v’accorse e l’elmo empié nel fonte,
e tornò mesto al grande ufficio e pio.
Tremar sentí la man, mentre la fronte
non conosciuta ancor sciolse e scoprio.
La vide, la conobbe, e restò senza
e voce e moto. Ahi vista! Ahi conoscenza!

[68.] Non morí già, ché sue virtuti accolse
tutte in quel punto e in guardia al cor le mise,
e premendo il suo affanno a dar si volse
vita con l’acqua a chi co ‘l ferro uccise.
Mentre egli il suon de’ sacri detti sciolse,
colei di gioia trasmutossi e rise;
e in atto di morir lieto e vivace,
dir parea: «S’apre il ciel, io vado in pace.»

 

 Per approdondire

guida all’ascolto

analisi musicale

Una versione scenica, per avere un’idea del madrigale rappresentativo (invero a mio parere non del tutto convincente sul piano teatrale):

Ma i più sofisticati tra voi potranno seguire passo passo il testo musicale in questo video in due parti: