Top menu

2012_tre-alberi_w.jpg2010_steppa_w.jpg2008_controlucemn_w.jpg2011_paes-invernale-1_w.jpg2009_tramonto2_w.jpg2011_settembre_w.jpg2011_marina_w.jpg2009_sorgere_w.jpg2009_incendio_w.jpg2011_cespuglio_w.jpg2012_nebbia-su-mantova_w.jpg2007_grandepino_w.jpg2010_temporale_w.jpg2008_oltreorizzonte_w.jpg2008_acquitrino_w.jpg2009_mantovainrosso_w.jpg2009_tramonto_w.jpg2009_stagno_w.jpg2012_squarcio-di-luce_w.jpg2011_forza-del-vento_w.jpg2009_toscanasera_w.jpg2009_sottobosco_w.jpg2012_campo-papaveri_w.jpg2011_paes-invernale-2_w.jpg2011_schiumadonda_w.jpg

Teodulfo, “Gloria laus”

TEODULFO d’Orléans (c.750-c.821)

Hymnus “Gloria laus” (t. 1)
Dominica in Palmis, ad processionem olivarum

 

Una graziosa leggenda vuole che questo inno sia stato nato in circostanze particolari: il vescovo Teodulfo di Orléans, caduto in disgrazia per ragioni politiche presso il re Ludovico il Pio e rinchiuso in un monastero di Anger, lo compose e lo cantò dalla sua cella la mattina delle Palme dell’anno 820, mentre sotto la finestra passava la processione guidata dal sovrano, il quale commosso fece subito liberare il santo prelato e lo riammise alla propria presenza.

Sul piano storico, Teodulfo vescovo di Orléans, intellettuale di origine ispano-visigotica, appartiene a quella cerchia di amministratori e letterati, radunata ad Aquisgrana attorno a Carlomagno sotto la guida di Alcuino, nota come Schola Palatina, che diede materia a quella che gli storici definiscono la ‘rinascenza carolingia’. I componenti di questa eletta cerchia di intellettuali di corte amavano atteggiarsi a emuli di antichi scrittori, di cui non si facevano scrupolo di adottare i nomi come pseudonimi: Alcuino di York era Flaccus Albinus, Angilberto di Saint-Riquier era Homerus, Teodulfo era Pindarus, con riferimento verosimile alla sua propensione per la poesia lirica di stile alto.

Nota metrica: canto processionale in perfetti distici elegiaci (esametri dattilici e pentametri, secondo il metro classico), costituito da un ritornello e 5 strofe. Il metro è assolutamente inusuale non solo nel genere dell’innodia, ma in generale nella liturgia cristiana medievale, e rimanda chiaramente al culto della romanità in voga alla corte dei sovrani carolingi tra VIII e IX secolo. Anche la struttura a responsorio alternato a strofe non appartiene alla forma consueta dell’inno, come del resto la sua collocazione liturgica unica e singolare nella processione delle Palme.

 

Resp. Gloria, laus et honor tibi sit, rex Christe redemptor,
     cui puerile decus prompsit Hosanna pium.

1. Israel tu rex, Davidis et inclyta proles
      nomine qui in Domini, rex benedicte, venis.

Resp. Gloria, laus &c.

2. Coetus in excelsis te laudat caelicus omnis
      et mortalis homo, cuncta creata simul.

Resp. Gloria, laus &c.

3. Plebs Hebraea tibi cum palmis obvia venit
      cum prece, voto, hymnis adsumus ecce tibi.

Resp. Gloria, laus &c.

4. Hi tibi passuro solvebant munia laudis
      nos tibi regnati pangimus ecce melos.

Resp. Gloria, laus &c.

5. Hi placuere tibi; placeat devotio nostra
      rex pie, rex clemens, cui bona cuncta placent.

Resp. Gloria, laus &c.

 


Guida all’ascolto

Il rito cui appartiene questo canto è di grande suggestione: si tratta della processione delle palme, con cui la mattina della domenica che precede la Pasqua si commemora l’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme e il canto dei bambini che lo accolsero (cfr. Mt 21, 1-17). La processione, che inaugura le celebrazioni della settimana santa, si svolge da una chiesa o luogo sacro esterno verso la chiesa principale, che rappresenta al città di Gerusalemme: le rubriche suggeriscono che, al ritorno del corteo, due o tre cantori entrino in chiesa, chiudano la porta e rivolti verso la processione intonino il ritornello, che viene ripetuto dal coro intero all’esterno della chiesa; quindi i solisti da dentro cantano le singole strofe, e dopo ogni distico coloro che stanno fuori ripetono il ritornello. Forse è stata proprio questa usanza di disporre i due cori dentro e fuori della chiesa a suggerire l’invenzione della leggenda del canto dall’interno della prigione.

Sul piano strettamente musicale, benché il ritornello e le strofe siano in distici, tutti sono suddivisi in quattro emistichi, come fossero quartine di un inno. Ma l’analogia con gli inni si ferma qui: per il resto, il ritornello è dotato di una melodia autonoma, composta di quattro incisi differenti, uno per ogni emistichio; tutte le strofe invece hanno la stessa linea di canto di due incisi, che si ripete (com minimi adattamenti al testo, che evidentemente non è isosillabico) uguale sull’esametro e sul pentametro. Lo stile non è strettamente sillabico come di solito negli inni, ma possiede piccole fioriture neumatiche, quasi sempre su sillabe non toniche.

 

 

[LU 588-89]