Teodulfo, “Gloria laus”
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- Categoria: Medioevo
- Ultima modifica il Domenica, 24 Marzo 2013 16:07
- Pubblicato Mercoledì, 24 Settembre 2008 15:49
- Scritto da quomodo
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TEODULFO d’Orléans (c.750-c.821)
Hymnus “Gloria laus” (t. 1)
Dominica in Palmis, ad processionem olivarum
Una graziosa leggenda vuole che questo inno sia stato nato in circostanze particolari: il vescovo Teodulfo di Orléans, caduto in disgrazia per ragioni politiche presso il re Ludovico il Pio e rinchiuso in un monastero di Anger, lo compose e lo cantò dalla sua cella la mattina delle Palme dell’anno 820, mentre sotto la finestra passava la processione guidata dal sovrano, il quale commosso fece subito liberare il santo prelato e lo riammise alla propria presenza.
Sul piano storico, Teodulfo vescovo di Orléans, intellettuale di origine ispano-visigotica, appartiene a quella cerchia di amministratori e letterati, radunata ad Aquisgrana attorno a Carlomagno sotto la guida di Alcuino, nota come Schola Palatina, che diede materia a quella che gli storici definiscono la ‘rinascenza carolingia’. I componenti di questa eletta cerchia di intellettuali di corte amavano atteggiarsi a emuli di antichi scrittori, di cui non si facevano scrupolo di adottare i nomi come pseudonimi: Alcuino di York era Flaccus Albinus, Angilberto di Saint-Riquier era Homerus, Teodulfo era Pindarus, con riferimento verosimile alla sua propensione per la poesia lirica di stile alto.
Nota metrica: canto processionale in perfetti distici elegiaci (esametri dattilici e pentametri, secondo il metro classico), costituito da un ritornello e 5 strofe. Il metro è assolutamente inusuale non solo nel genere dell’innodia, ma in generale nella liturgia cristiana medievale, e rimanda chiaramente al culto della romanità in voga alla corte dei sovrani carolingi tra VIII e IX secolo. Anche la struttura a responsorio alternato a strofe non appartiene alla forma consueta dell’inno, come del resto la sua collocazione liturgica unica e singolare nella processione delle Palme.
Resp. Gloria, laus et honor tibi sit, rex Christe redemptor, |
1. Israel tu rex, Davidis et inclyta proles Resp. Gloria, laus &c. |
2. Coetus in excelsis te laudat caelicus omnis Resp. Gloria, laus &c. |
3. Plebs Hebraea tibi cum palmis obvia venit Resp. Gloria, laus &c. |
4. Hi tibi passuro solvebant munia laudis Resp. Gloria, laus &c. |
5. Hi placuere tibi; placeat devotio nostra Resp. Gloria, laus &c. |
Guida all’ascolto
Il rito cui appartiene questo canto è di grande suggestione: si tratta della processione delle palme, con cui la mattina della domenica che precede la Pasqua si commemora l’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme e il canto dei bambini che lo accolsero (cfr. Mt 21, 1-17). La processione, che inaugura le celebrazioni della settimana santa, si svolge da una chiesa o luogo sacro esterno verso la chiesa principale, che rappresenta al città di Gerusalemme: le rubriche suggeriscono che, al ritorno del corteo, due o tre cantori entrino in chiesa, chiudano la porta e rivolti verso la processione intonino il ritornello, che viene ripetuto dal coro intero all’esterno della chiesa; quindi i solisti da dentro cantano le singole strofe, e dopo ogni distico coloro che stanno fuori ripetono il ritornello. Forse è stata proprio questa usanza di disporre i due cori dentro e fuori della chiesa a suggerire l’invenzione della leggenda del canto dall’interno della prigione.
Sul piano strettamente musicale, benché il ritornello e le strofe siano in distici, tutti sono suddivisi in quattro emistichi, come fossero quartine di un inno. Ma l’analogia con gli inni si ferma qui: per il resto, il ritornello è dotato di una melodia autonoma, composta di quattro incisi differenti, uno per ogni emistichio; tutte le strofe invece hanno la stessa linea di canto di due incisi, che si ripete (com minimi adattamenti al testo, che evidentemente non è isosillabico) uguale sull’esametro e sul pentametro. Lo stile non è strettamente sillabico come di solito negli inni, ma possiede piccole fioriture neumatiche, quasi sempre su sillabe non toniche.
[LU 588-89]