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“Veni Sancte Spiritus” (sequenza)

 INNOCENZO III (1160-1216) {attrib.}

Sequentia “Veni Sancte Spiritus” (t. 1)
Festo Pentecostis, ad missam

 

La bellissima sequenza di Pentecoste (una delle quattro conservate nel rito tridentino, e presente ancor oggi nel messale romano), definita da qualcuno la “sequenza d’oro”, è attestata in manoscritti posteriori alla metà del XII secolo, e dubitativamente attribuita a Stephen Langhton (c.1150-1228) arcivescovo di Canterbury; ma certo è non poco suggestiva l’ipotesi di chi la ritiene opera del papa Innocenzo III.

Con questo testo siamo nella fase pienamente matura della forma, regolarizzata sotto tutti gli aspetti nel tipo cosiddetto vittorino: le coppie (copulae) di terzine, connesse dalla stessa melodia, sono unite tra loro anche da una fitta trama di suggestioni testuali e contenutistiche: per fare un solo esempio, l’imperativo «veni» iterato nella prima copula, è ripreso in perfetta simmetria dall’imperativo «da» dell’ultima, che ripropone anche la medesima serie di omoteleuti della prima.

Nota metrica: sequenza di tipo ‘vittorino’, in cinque copulae di terzine di dimetri trocaici catalettici. Ogni terzina è caratterizzata da omoteleuti nei primi due versi, mentre la fine di ogni terzina è in omoteleuto (-ium) con la fine di tutte le altre terzine. Si noti che, mentre i ritmi giambici sono di solito conservati interi (acatalettici), i ritmi trocaici vengono privati dell’ultima sillaba, dando luogo in entrambi i casi a versi che accentuativamente sono sdruccioli: in questo senso, in latino come in italiano, la rima è difficile, mentre è più agevole ricorrere ai semplici omoteleuti, specie di tipo morfologico (ad es. desinenze verbali o nominali).

 

1a.  Veni, Sancte Spiritus,
et emitte caelitus
lucis tuae radium.

1b.  Veni, pater pauperum,
veni, dator munerum,
veni, lumen cordium.

Vieni, Santo Spirito,
e manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.

Vieni padre dei poveri,
vieni datore dei doni,
vieni luce dei cuori.

2a.  Consolator optime,
dulcis hospes animae,
dulce refrigerium.

2b.  In labore requies,
in aestu temperies,
in fletu solacium.

Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.

Nella fatica riposo,
nella calura riparo,
nel pianto conforto
.

3a.  O lux beatissima,
reple coris intima
tuorum fidelium.

3b.  Sine tuo numine,
nihil est in homine,
nihil est innoxium.

O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli
.

Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.

4a.  Lava quod est sordidum,
riga quod est aridum,
sana quod est saucium.

4b.  Flecte quod est rigidum,
fove quod est frigidum,
rege quod est devium.

Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.

Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.

5a.  Da tuis fidelibus
in te confidentibus
sacrum septenarium.

5b.  Da virtutis meritum,
da salutis exitum,
da perenne gaudium.

Amen. Alleluia.

Dà ai tuoi fedeli
che solo in te confidano,
i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,
dona morte sante,
dona gioia eterna.

Amen. Alleluia.

 

 


Guida all’ascolto

La melodia, in perfetto ed elegante stile vittorino, propone frasi sillabiche di tre incisi, uno per ogni verso di ogni terzina, ripetute due volte in ciascuna copula. Ma il fenomeno più sottile e interessante è dato dalle corrispondenze tra gli incisi, sia all’interno che all’esterno delle diverse copulae. Anche qui solo alcuni esempi, per render conto del fenomeno: l’inciso del secondo verso riprende per intero il primo a un intervallo di quarta, con la sola aggiunta di una nota alla fine; qualcosa di simile avviene nel primo inciso della copula 3 (da do, eslcuse le prime due note), che si ripete un grado sotto nel primo inciso della 4 (da si), e di nuovo una quinta sotto nel secondo inciso della 4 (da fa); le ultime quattro sillabe delle copulae 1-3, sono musicalmente dotate di una linea melodica (sol, fa-mi-re, do, re) che si ripete a ogni terzina, come una perfetta rima musicale, correlativa alla quasi-rima lessicale. Altre corrispondenze potranno essere trovate all’ascolto o scorrendo la partitura: sono tutti esempi della costruzione modulare tipica del canto gregoriano.

 

 

[LU 880-1]