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Foscolo, “Alla sera”

Foscolo: lo spirto guerrier ch’entro mi rugge

La melancolia del conflitto tra forma e contenuto 

 

Ugo Foscolo (1778-1827)
dai Sonetti,
i (1802-3)

 

È il primo dei quattro grandi sonetti di Foscolo, e forse il più perfetto, calibrato com’è in una caratteritstica alternanza tra equilibri di simmetrie e squilibri di enjambements

La lirica fin dal titolo si pone come apostrofe alla sera, la terza delle quattro suddivisioni del giorno (col mattino, il mezzogiorno e la notte), che nella teoria tradizionale degli umori e del temperamento corrisponde alla dominante melan kolè (la bile nera, l’elemento terrestre, come nell’anno l’autunno e nella vita umana l’età adulta). Non sarà allora un caso che nel rapido percorso di immagini a cavallo delle quartine si alluda alla primavera (zeffiri), all’estate (nubi estive), e poi all’inverno (nevoso aere, inquiete tenebre e lunghe), senza menzione dell’autunno, rappresentato appunto dalla sera. Quanto alla persona del poeta, che a poco più di vent’anni apparterrebbe oggettivamente all’elemento del fuoco (kolè, mezzogiorno, estate, rappresentata del resto dalle nubi piuttosto che dal sole), in realtà sembra insinuare di aver scavalcato la sua giovinezza, precipitando direttamente dall’infanzia alla maturità, dall’età sanguigna alla melancolica.

La sirma del sonetto passa quasi cinematograficamente dal lento allontanarsi verso il nulla eterno, in mezzo alla frenesia del tempo esteriore e interiore (chrònos e kairòs ormai indistinguibili), alla conclusiva serenità dello statuario leone accovacciato che si addormenta.

Nota metrica: sonetto, rime ABAB ABAB CDC DCD.

 

                  ALLA SERA  

    Forse perché della fatal quïete (1)
tu sei l’immago (2) a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri (3) sereni,

    e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all’universo meni (4)
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni (5).

    Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme (6)
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo (7), e van con lui le torme

    delle cure (8) onde meco egli si strugge (9);
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier (10) ch’entro mi rugge. 

1 “la quiete del fato”, la morte.
2 “immagine” (latinismo).
3 Lo zefiro (o zeffiro) è il vento di ponente tipico della primavera.
4 “porti”, conduci.
5 “percorri”; o forse anche “occupi”.
6 Metonimia per “passi”, sentieri.
7 “epoca malvagia”, ma anche “tempo” nel senso generico.
8 “le schiere delle preoccupazioni”, la folla delle angosce.
9 “per le quali [il tempo] si distrugge con me”.
10 “spirito battagiero”, ma anche metaforicamente “combattuto fra violente passioni”.

 

 Strutture e connotazioni

Significante. La dominante formale e strutturale di questa lirica è senz’altro il fonosimbolismo, che pervade le quartine con la frequenza delle vocali chiare (-e-, -i-) nei versi allusivi all’estate (vv. 2-3), e delle vocali medie e scure (-a-, -o-, -u-) in quelli dedicati all’inverno (vv. 4-5). Si noti in particolare il nesso «tenebre e lunghe», in cui il suono -br- insinua un improvviso brivido fonetico, mentre la –u- di lunghe acquista dalla sua posizione metrica una singolare lunghezza. Ancora, nei versi finali l’allitterazione della -r- sempre più insistita, echeggia manifestamente al ruggito del leone, che pure non è menzionato sul piano denotativo.