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Baudelaire, Poesia in prosa

Baudelaire: oscillazioni del fantasticare

Teorizzazione della poesia in prosa

 

Charles BAUDELAIRE (1821-1867)

Prefazione da Spleen de Paris ou Petits poèmes en prose (1869)

 

A ARSÈNE HOUSSAYE

Mio caro amico, vi mando un’operetta di cui solo ingiustamente si potrebbe dire che non ha né capo né coda, poiché, al contrario, tutto in essa è, nello stesso tempo, e testa e coda, alternativamente e reciprocamente. Considerate, vi prego, quali mirabili comodità questa combinazione offre a noi tutti, a voi, a me e al lettore. Possiamo tagliare dove vogliamo: io la mia fantasticheria, voi il manoscritto, il lettore la sua lettura; infatti, la riluttante volontà di quest’ultimo non la sospendo all’intermina­bile filo di un intreccio superfluo. Staccate pure una vertebra, e i due pezzi di questa tortuosa fantasia si ricongiungeranno senza sforzo. Spezzatela in numerosi frammenti, e vedrete che ognuno di essi può esistere separatamente. Nella speranza che alcuni di questi tronconi resteranno vivi abbastanza da piacervi e divertirvi, oso dedicarvi l’intero serpente.

Devo farvi una piccola confessione. È sfogliando almeno per la ventesima volta il famoso Gaspard de la Nuit di Aloysius Bertrand (un libro conosciuto da voi, da me e da qualcuno dei nostri amici, non ha tutto il diritto di essere definito famoso?), che mi è venuta l’idea di tentare qualcosa di analogo, e di applicare alla descrizione della vita moderna – o piuttosto di una vita moderna e più astratta – lo stesso procedimento che egli aveva applicato alla rappresentazione della vita di un tempo, così stranamente pittoresca.

Chi di noi non ha sognato, in quest’epoca di ambizioni, una prosa poetica, musicale ma senza rima e senza ritmo costante, abbastanza flessibile e spezzata da adattarsi ai movimenti lirici dell’anima, alle oscillazioni del fantasticare, ai soprassalti della coscienza?

È soprattutto dalla frequentazione delle città enormi e dall’incrociarsi dei loro rapporti innumerevoli, che nasce questo ideale ossessivo. Voi stesso, mio caro amico, non avete forse tentato di tradurre in una canzone il grido stridulo del vetraio e di esprimere in una prosa lirica tutte le desolanti suggestioni che questo grido spedisce in alto, fino alle mansarde, attraverso le più spesse brume della strada?

A dire il vero, però, temo che la gelosia non mi abbia portato fortuna. Appena cominciato il lavoro, mi resi conto che non solo restavo assai lontano dal mio misterioso e brillante modello, ma che stavo facendo qualcosa (se posso chiamarlo qualcosa) di stranamente diverso: risultato del quale chiunque altro si sarebbe senza dubbio inorgoglito, ma che può solo umiliare profondamente uno spirito che considera come il più grande onore del poeta il fatto di compiere esattamente ciò che ha progettato di fare.

Vostro affezionatissimo,

C. B.