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Bandello, Introduzione alla Novella 58

Bandello: i moderni si ponno agli antichi agguagliare

Un piccolo testimone del lavoro di Leonardo

 

Matteo Maria BANDELLO (1485-1561)

Lettera di prefazione alla Novella LVIII (1554)

 

 

Il Bandello a la molto illustre e vertuosa eroina la signora Ginevra Rangona e Gonzaga
 
Esser sempre stata la vertú in ogni secolo ed appo tutte le genti d’ogni parte del mondo in grandissima stima, e i vertuosi uomini cosí ne la dottrina de le lingue come de la filosofia e in ogni altra arte eccellenti esser stati da’ grandissimi prencipi e da le bene institute republiche sempre onorati, tenuti cari, essaltati e largamente premiati, tanto per le memorie che se n’hanno e per quello che tutto il dí si vede è chiaro che di prova alcuna non ha bisogno. Erano in Milano al tempo di Lodovico Sforza Vesconte duca di Milano alcuni gentiluomini nel monastero de le Grazie dei frati di san Domenico, e nel refettorio cheti se ne stavano a contemplar il miracoloso e famosissimo cenacolo di Cristo con i suoi discepoli che alora l’eccellente pittore Leonardo Vinci fiorentino dipingeva; il quale aveva molto caro che ciascuno veggendo le sue pitture, liberamente dicesse sovra quelle il suo parere. Soleva anco spesso, ed io piú volte l’ho veduto e considerato, andar la matina a buon’ora e montar sul ponte, perché il cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l’imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dí che non v’averebbe messa mano, e tuttavia dimorava talora una e due ore del giorno, e solamente contemplava, considerava, ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L’ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie, ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di subito partirsi e andar altrove. Era in quei dí alloggiato ne le Grazie il cardinal Gurcense il vecchio, il quale si abbatté ad entrar in refettorio per veder il detto cenacolo, in quel tempo che i sovradetti gentiluomini v’erano adunati. Come Lionardo vide il cardinale, se ne venne giú a fargli riverenza, e fu da quello graziosamente raccolto e grandemente festeggiato. Si ragionò quivi di molte cose ed in particolare de l’eccellenza de la pittura, desiderando alcuni che si potessero veder di quelle pitture antiche che tanto dai buoni scrittori sono celebrate, per poter far giudicio se i pittori del tempo nostro si ponno agli antichi agguagliare. Domandò il cardinale che salario dal duca il pittore avesse. Li fu da Lionardo risposto che d’ordinario aveva di pensione duo mila ducati, senza i doni ed i presenti che tutto il dí liberalissimamente il duca gli faceva. Parve gran cosa questa al cardinale, e partito dal cenacolo a le sue camere se ne ritornò. Lionardo alora a quei gentiluomini che quivi erano, per dimostrare che gli eccellenti pittori sempre furono onorati, narrò una bella istorietta a cotal proposito. Io che era presente al suo ragionamento, quella annotai ne la mente mia, ed avendola sempre tenuta ne la memoria, quando mi posi a scriver le novelle, quella anco scrissi. Ora facendo la scelta d’esse mie novelle ed essendomi venuta questa a le mani, ho voluto che sotto il vostro valoroso nome sia veduta e letta. Il perchè quella vi dono e al vostro nome dedico e consacro in testimonio de la mia servitú verso voi e de le molte cortesie vostre a me, la vostra mercé, usate. State sana.