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Poe, La struttura della realtà

Poe: il grave errore della ragione matematica

È matematica o logica la struttura della realtà?

 

Edgar Allan POE (1809-1849)

da La lettera rubata (1845)

 

[...]    «Ma si tratta poi veramente del poeta?», chiesi io. «So che sono due fratelli e che entrambi si son fatti una reputazione nel mondo letterario. Ma il ministro, a quel che mi pare di ricordare, deve avere scritto un importante volume sul calcolo differenziale e integrale. Egli dovrebb’essere il matematico, non il poeta».

   «Siete in errore: io lo conosco assai bene: egli è poeta e insieme matematico. E come poeta e matematico, ha dovuto ragionare a dovere. Se fosse stato soltanto matematico, non avrebbe fatto che una parte soltanto del ragionamento necessario, e si sarebbe, in tal modo, esposto alla mercé del nostro prefetto».

   «Una siffatta opinione», esclamai, «non può non meravigliarmi. Essa è smentita, coralmente, dal buon senso comune. Non avrete l’intenzione, spero, di sottovalutare una idea maturata attraverso i secoli dei secoli. La ragione matematica non è soltanto da ora ritenuta come la ragione per eccellenza».

   «Il y a à parier»,disse Dupin, citando Chamfort, «que toute idée publique, toute convention reçue, est une sottise, car elle a convenu au plus grand nombre. (1) I matematici, ve lo accordo, han fatto del loro meglio per propagare il popolare abbaglio di cui avete detto poc’anzi, il quale, benché spacciato per una verità, è, nondimeno, un classico e perfezionato tipo di errore. Per esempio, con carte e sottigliezza degne al certo d’una miglior causa, ci è stato appreso ad applicare il termine analisi alle operazioni algebriche. I francesi sono i primi responsabili d’un siffatto imbroglio scientifico. Ma, ove si convenga che i termini del linguaggio non hanno una loro reale significazione, – se le parole, insomma, traggono la loro ragione e il loro valore solo dal modo convenuto con cui vengono applicate, – concedo che la parola analisi traduca la parola algebra, press’a poco come in latino ambitus traduce “ambizione”, religio, “religione”, e homines honesti, sta per “la categoria delle persone per bene”».

   «Mi accorgo», dissi io, «che state impancandovi in una disputa con un buon numero di professori d’algebra di Parigi. Ma non importa: continuate».

   «Io contesto la validità e, per conseguenza, i risultati d’un qualsiasi procedimento razionale il quale s’avvalga d’altro principio che la logica astratta. E contesto, in maniera del tutto particolare, i ragionamenti che tengono del procedimento proprio alle dottrine matematiche. Le matematiche sono le scienze attinenti alle forme e alle quantità; il ragionamento matematico altro non è se non la semplice logica applicata alla forma e alla sua quantità. Il grave errore consiste nel ritenere che le verità ritenute puramente algebriche siano delle verità astratte e generali. E questo errore è talmente madornale e gravido di conseguenze, ch’io non posso far di meno che meravigliarmi dell’uni­versalità colla quale, nonostante tutto, esso è accolto. Gli assiomi matematici non pretendono affatto ad assiomi generali. Ciò che è vero per un rapporto di forma o di quantità, è sovente un grossolano errore per ciò che riguarda, mettiamo, il mondo morale. In quest’ultima scienza è troppo comunemente falso che la somma delle frazioni sia eguale all’intero. E così anche nella scienza chimica troviamo che quell’assioma ha torto. Nell’ap­prezzamento che noi facciamo d’una forza motrice, ad esempio, lo troviamo anche lì, fallace, dal momento che due motori che siano ciascuno d’una data potenza, non posseggono affatto, una volta messa assieme la loro capacità di traino, una potenza eguale alla somma delle loro potenze prese separatamente. E v’ha ancora un’enorme quantità di verità matematiche le quali non sono delle verità che nei limiti del rapporto.E nondimeno il matematico argomenta incorreggibilmente, basandosi su queste verità fisse, come se esse potessero applicarsi in generale e in assoluto; il quale potere, del resto, è falsamente imprestato loro anche dalla gente comune. Bryant, nella sua famosa Mythology, fa menzione d’una analoga sorgente di errori allorché egli rileva che, quantunque nessuno creda alle favole mitiche dei pagani, nondimeno noi usiamo trarne spesso delle conclusioni né più né meno che se esse riguardassero fatti realmente accaduti. E hanno credito, d’altro canto, tra i nostri professori d’algebra, i quali sono ancor essi dei pagani, talune favole pagane dalle quali sono state tratte persino lambiccate congetture, non tanto per difetto di memoria, quanto per un incomprensibile ottenebrarsi delle facoltà mentali. Io non ho mai incontrato dei matematici, per farla breve, nei quali potessi fidare eccetto che per le loro radici quadrate e le loro equazioni; non ne ho mai conosciuto uno solo che non tenesse in cuor suo per articolo di fede che x2 + px è assolutamente e incondizionatamente eguale a q. Provate a dire a uno di cotesti signori, tanto per fare una prova, che voi credere alla possibilità che x2 + px, non sia affatto eguale a q e quando sarete riuscito a fargli capire che cosa intendere dire, procurate immantinente di mettervi al largo della sua portata, giacché egli, senza dubbio, sarà intenzionato d’accopparvi!»

   «Il mondo materiale», disse Dupin, «è affatto pieno di sorprendenti analogie con quello immateriale. Da ciò proviene che i dogmi retorici hanno somiglianza colla verità così come una metafora o una similitudine possono rendere più persuasiva un’argomentazione al modo stesso che abbelliscono una descrizione. Il principio della forza d’inerzia ad esempio, sembra aver la stessa portata nelle due nature, quella fisica e quella metafisica; un corpo d’una certa grandezza è messo in moto con maggiore difficoltà che non quello d’una grandezza minore, e la sua quantità di movimento e in proporzione di questa difficoltà. Ed ecco una proposizione analoga altrettanto incontrovertibile: le intelligenze d’una vasta capacità le quali sono nel contempo più impetuose, più costanti e più accidentate ne e loro possibilità dinamiche che le altre d’un grado inferiore sono quelle che si muovono più disagiatamente e che sono le più frastornate d’esitazioni al momento di mettersi in marcia. Altro esempio: avete mai notato quali siano le insegne di bottega che attraggono maggiormente la vostra attenzione?».

   «Non ci ho mai pensato, a esser sincero», dissi io.

   «Esiste», replicò Dupin, «una sorta di indovinello che s’usa giocare su una carta geografica. Uno dei giocatori prega qualcun altro di indovinare una data parola: il nome d’una città, ad esempio, d’un fiume, d’uno Stato, d’un impero: una parola qualunque, a farla breve, che sia compresa nella superficie variopinta e imbrogliata della carta. Una persona che sia nuova al giuoco, cerca, in generale, di imbarazzare il suo avversario dandogli a indovinare dei nomi scritti in carattere impercettibile. Ma gli adepti del giuoco scelgono dei nomi scritti a caratteri cubitali, quelli medesimi che si leggono da un capo all’altro della carta. Quei nomi, come pure quelli delle insegne e dei manifesti a lettere troppo grandi, sfuggono all’osservatore a causa dello loro stessa evidenza. E a questo punto dirò che le dimenticanze materiali sono del tutto analoghe alle distrazioni d’ordine morale di uno spirito che si lascia sfuggire le considerazioni che siano troppo palpabili, fino alla noia e alla banalità». [...]


1 “C’è da scommettere che ogni idea comune, ogni convenzione radicata, è una fesseria, perché è piaciuta alla maggior parte della gente”.